Il turno pasquale porta in dote la seconda sconfitta consecutiva nel momento più importante della stagione. Dalla doppia trasferta di Torino e Roma passavano inevitabilmente le speranze di Champions partenopee. Il responso del campo è perentorio: se l’Europa che conta non è definitavamente sfumata, poco ci manca. Con sei punti di distacco dalla terza posizione, sette giornate al termine del campionato e lo scontro diretto a favore della Lazio dell’ex Reja, anche il più ottimista dei tifosi sarà costretto a rivedere le proprie convinzioni. Soprattutto considerando le ultime uscite dei partenopei. Se la rimonta subita dal Catania poteva essere archiviata sotto la voce “calo di attenzione” e quella con la Juventus rischiava di essere solo la più tipica delle giornate storte, il terzo campanello d’allarme consecutivo suona perentorio ed ha il sapore della bocciatura definitiva. Il Napoli è arrivato senza benzina nel momento cruciale; finite le forze fisiche e la capacità di soffrire: proprio le due caratteristiche che avevano sempre esaltato la squadra di Mazzarri, portandola ai vertici del calcio europeo non più di un mese fa. Si è volato troppo in alto e le ali di cera si sono squagliate a contatto con il sole. Drogba e compagni nella gara dello Stamford Bridge hanno picconato le certezze partenopee lasciando macerie nel morale azzurro. Scorie che si stanno facendo sentire tutt’ora, nel cammino in campionato. Quello che oggi si mostra davanti agli occhi increduli del pubblico è una squadra punita dagli stessi episodi che precedentemente l’avevano aiutata, un’estremizzazione di difetti che ci sono e sono evidenti, ma non possono esser sufficienti per spiegare la debacle. Non si era fuoriclasse ieri, non si è brocchi oggi, semplicemente è cambiato il vento e con esso è crollato il castello di carte sul quale era stata costruita la rimonta. La difesa, venuto meno anche il baluardo De Sanctis, ha la consistenza del burro e rischia di barcollare ad ogni affondo avversario. Il centrocampo fatica nella costruzione del gioco e, privato di Gargano, perde anche in dinamismo. Se lì davanti non si accende la luce sono dolori. In questo quadro c’è poi da aggiungere, la cocciutaggine di un condottiero tanto bravo nel costruire un meccanismo, quanto in affanno nel momento in cui bisogna cambiarlo, migliorarlo o (semplicemente) aggiustarlo. Nella sfida dell’Olimpico Mazzarri propone un 4-3-1-2 che ben presto svela i contorni più familiari del 3-4-1-2. Aronica scala sulla sinistra e Dzemaili slitta a destra. Morale della favola: per non modificare un meccanismo comunque difettoso si preferisce schierare uomini fuori ruolo.
Il risultato è che gli azzurri perdono la spinta sulle fasce e si ingolfano per le vie centrali. Gli errori dei singoli ed un capolavoro firmato Mauri griffano il 3-1. Inutile aggrapparsi a Pandev dopo aver spremuto gli 11 titolari, inutile anche pensare che adesso si possa cambiare qualcosa. Gli errori stanno a monte: da una parte nell’aver confidato su una rosa risicata, dall’altra nel non aver colto il logorio fisico dei titolarissimi ed esser giunti a questo punto di non ritorno. Errare è umano, perseverare…
(Massimiliano de Cesare)