Il professor Massimo Ammaniti, psichiatra e psicoanalista, è stato intervistato negli scorsi giorni dai microfoni di Repubblica per parlare dei ragazzi e della scuola, premettendo che: «Io sono dalla parte dei ragazzi, è la scuola che deve cambiare e creare un ponte verso una generazione che sta gridando il proprio malessere». Secondo Ammaniti il metodo di insegnamento a scuola andrebbe rivisto da cima a fondo: «Basta con i prof in cattedra, arroccati dietro il programma, mentre migliaia di studenti sempre più smarriti chiedono di essere visti e ascoltati. O prendiamo coscienza che è in atto una mutazione antropologica dell’adolescenza, oppure perderemo il contatto con i giovani». Ammaniti dice di essere rimasto colpito dalle testimonianze di quei ragazzi che hanno confessato di provare ansia, malessere e crisi di panico per via della scuola.



«Come possiamo ignorare questa richiesta di aiuto?». C’è chi dice di alzare bandiera bianca, ma Ammaniti non ci sta: «Una società adulta non può arrendersi di fronte al malessere della propria gioventù. Sarebbe come rinunciare al futuro. Ma non mi stupisce affatto che degli adolescenti della generazione Zeta non riescano a stare seduti in classe più di qualche ora e la loro attenzione sia scarsa e intermittente. La mente dei nostri ragazzi è stata trasformata per sempre dal contatto e dall’abuso degli smartphone. Lo spiega con grande chiarezza Jonathan Haidt, psicologo sociale americano, nel libro “Anxious generation”». Secondo l’esperto i ragazzi hanno ragione quando chiedono di essere curati anche perchè sono cambiati da un punto di vista «vista neurobiologico, ma la scuola è rimasta indietro, antiquata, anzi alla grande crisi esistenziale dei giovanissimi risponde tornando ai voti, alla disciplina, a una meritocrazia che non si sa bene cosa sia».



AMMANITI: “TUTTO E’ CAMBIATO CON GLI SMARTPHONE…”

Ammaniti ricorda come il 2012 sia considerato un anno spartiacque in tal senso, quello in cui si diffusero a livello globale gli smartphone che sono quindi arrivati anche nelle mani dei bambini. «Strumenti di una potenza inaudita, a mio parere anche devastante se regalati prima dell’adolescenza. A distanza di oltre 10 anni noi vediamo l’impatto che hanno avuto su menti così acerbe. Un dato su tutti: il disturbo dell’attenzione».

Ecco perchè il mondo dell’istruzione dovrebbe ripensare i metodi di insegnamento: «Mi sembra l’unica strada. Altrimenti continueremo ad avere professori che parlano a una platea che non li segue più. Con la frustrazione che ne consegue. Cominciamo con il mettere un grande tavolo al centro dell’aula, a lavorare per gruppi. Anche perché l’altra faccia della tecnologia è che questi ragazzi hanno competenze nuove, sono velocissimi nell’imparare, nel creare nuovi linguaggi. Ripensiamo la nostra edilizia scolastica, pesante, vetusta che già di per sé mortifica il bisogno di muoversi nell’età in cui il corpo non può stare fermo, esplode nei cambiamenti ormonali, vuole esporsi. Sapete come si chiama? Angoscia claustrofobica».



AMMANITI: “GIOVANI E SCUOLA, C’E’ INCOMUNICABILITA”

Ammaniti ribadisce come gli smartphone giorno e notte in mano ai ragazzi siano un problema, ma solo parte di esso: «Dietro questo malessere ci sono altri due fattori che riportano però all’incomunicabilità tra due mondi. Tra una scuola vecchia e una gioventù nuova». Secondo lo psichiatra a scuola i ragazzi, che in casa sono il centro del mondo, vengono «valutati con metodi tradizionali che non tengono affatto conto di loro come persone, delle loro difficoltà. E questo li schiaccia, li fa soffrire, lo ritengono ingiusto. Hanno poi una serie di fragilità che derivano dagli anni del Covid, da un futuro precario, figlio anche della caduta dell’identificazione verticale con i mestieri e lo status sociale dei genitori».

In sostanza i giovani chiedono ai prof di essere educatori, ma di avere anche ruoli di guida oltre a mettere voti e interrogarli. «È la prima generazione che rivendica politicamente il diritto al benessere psicologico. O la scuola si adegua o perde. È una rivoluzione se ci pensate».