L’ennesimo caso di violenza contro una donna, Giulia Cecchettin, ha stimolato alla scrittrice Paola Mastrocola una riflessione sul ruolo della scuola, della famiglia e della società nei confronti dei giovani, che sembrano aver perso la guida. “Credo”, spiega in apertura, “che siano la famiglia e la società i primi, e più importanti, forse i soli veri, validi e determinanti motori educativi, il luogo dove fin dalla nascita ogni essere umano viene formato”.



Una formazione, spiega Mastrocola, che viene fatta “attraverso modelli e regole, ma soprattutto attraverso l’esempio concreto e tangibile che giornalmente si mette in atto e si dispiega naturalmente davanti agli occhi: le nostre relazioni affettive, il modo di stare al mondo, di intendere il lavoro, i divertimenti, l’uso dei social, l’impatto dei media e della pubblicità”. In questo, invece, la scuola “alla quale si chiede tutto: non più, tanto, l’istruzione, ma ogni forma di quella ‘educazione’ che la famiglia ha smesso di dare e che la società non fa che ostacolare e distorcere”. Un compito, secondo Mastrocola, eccessivo per pesare sulle spalle di una singola istituzione e che ha finito, inevitabilmente, per distorcerla.



Mastrocola: “La scuola ha abdicato al suo ruolo culturale”

“La scuola”, riflette Mastrocola, “deve fare la scuola, restando negli ambienti che le competono, che le sono propri, usando cioè le infinite e potentissime risorse che ha in sé”. La scrittrice, infatti, si dice convinta che “se la scuola non avesse abdicato al suo ruolo eminentemente culturale, non saremmo al punto in cui siamo, al vuoto in cui oggi ci troviamo tutti immersi, i nostri giovani”, avverte perentoria, “più che mai”.

Un antidoto a questa cultura violenta, secondo Mastrocola, è rappresentato sicuramente “dalla letteratura e dall’arte” che più di qualsiasi altra cosa “educa ai sentimenti, alla complessità e ambiguità dei sentimenti, di cui ormai siamo drammaticamente incompetenti”. Un’educazione impartita “in modo indiretto, metaforico, simbolico. Mai esplicito, mai impositivo, tanto meno ideologico, predicatorio, didattico, indottrinante”. Sentimenti, spiega ancora Mastrocola, che “impariamo a ri-conoscere, perché non sappiamo di provarli”.