Qualche nomina stile vecchio Trump populista che guarda alla sua cerchia di amici (vedi Kristi Noem alla Sicurezza e Pete Hegseth al Pentagono), altre, invece, che puntano sull’esperienza. Le scelte del nuovo presidente americano, dice Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, rispetto al primo mandato sembrano più pragmatiche. Risalta però un aspetto importante: diversi ruoli di un certo peso, come Susie Wiles capo dello staff ed Elise Stefanik ambasciatrice all’ONU, sono stati affidati a donne che vantano un’importante esperienza politica. Nell’amministrazione repubblicana prevalgono i falchi: lo sono Marco Rubio, indicato come segretario di Stato, da sempre sostenitore della politica di Netanyahu in Israele, e Tom Homan, l’uomo al quale è stata riaffidata la gestione dell’immigrazione.
I “ministri” di Trump, insomma, lasciano intravedere un governo intenzionato ad attuare quanto promesso, con Elon Musk che annuncia un piano lacrime e sangue sulla pubblica amministrazione e per la spending review. Sorridono, invece, l’industria petrolifera e quella automobilistica: la transizione ecologica non seguirà i dettami degli ambientalisti più accesi.
Il nuovo presidente vuole portare la pace, ma nel suo staff molti hanno fama di essere intransigenti. La sua sarà un’amministrazione in cui prevalgono i falchi?
Non è detto che i falchi non riescano a raggiungere intese in un contesto complicatissimo. Tra una smentita e l’altra, c’è un’apertura di Putin per la pace in Ucraina. Verranno meno gli aiuti a Kiev? Lo vedremo. L’idea è comunque di sedersi a un tavolo per trattare. Detto questo, è vero, Trump ha scelto tutti falchi, fedelissimi e non necessariamente della prima ora. La Stefanik lo aveva criticato per il bando relativo agli immigrati provenienti da alcuni Paesi musulmani. La nuova ambasciatrice all’ONU ha una storia interessante: ha studiato ad Harvard e, quando è stata eletta nel 2014, era la più giovane deputata che ci fosse mai stata.
Cosa ha guidato le scelte di Trump?
Direi che nel primo mandato puntava su uomini forti e generali, adesso sulle donne. E donne di esperienza. Come capo di gabinetto ha scelto una persona non giovane, esperta, che ha saputo guidare una campagna elettorale di successo. Non ha dimenticato il caos del primo mandato alla Casa Bianca, anche se tiene conto di chi gli è stato vicino.
Rubio, però, nel 2016 era stato suo avversario alle primarie: perché lo ha tenuto in considerazione?
Rubio è un altro falco. È di origine cubana e rappresenta un riconoscimento al voto dei latinos, che hanno votato in massa per Trump. Forse al momento la figura più controversa è quella dell’ex maggiore dell’esercito e anchorman di Fox, Pete Hegseth, nominato al Pentagono: non ha grande esperienza e per questo i democratici sono già partiti all’attacco. Altra figura interessante è Lee Zeldin, il capo dell’EPA, l’agenzia per la protezione ambientale, un ruolo importante perché è la persona che dà via libera alle trivellazioni.
Sembrava esclusa dopo l’ammissione di aver ucciso il suo cane, invece, nella squadra c’è Kristi Noem, governatrice del South Dakota. Cosa l’ha rimessa in gioco?
Si occuperà della Homeland Security, che corrisponde al nostro ministero degli Interni. Probabilmente Trump non ha dimenticato le presidenziali del 2020, quando la Noem gli consentì di organizzare un comizio al Monte Rushmore, al quale partecipò molta gente senza mascherina, nonostante la pandemia. Nessun altro gli permise di tenere un comizio così in grande stile.
Una nomina chiave è quella di Susie Wiles.
Susie Wiles è il primo capo di gabinetto donna; per uno che ha un rapporto conflittuale con il pianeta donna, è una scelta che sorprende. Accusato di volersi circondare di uomini forti, insomma, Trump in realtà fa la storia con una donna. Il presidente, tra l’altro, ha un po’ il mito di Reagan e lei ha lavorato con la sua amministrazione. Tutti i presidenti, comunque, sono generalmente migliori al secondo mandato: Trump mi sembra che abbia un approccio più pragmatico.
Le scelte, comunque, sono strettamente trumpiane. E il vecchio GOP?
Non c’è più, ora è il partito MAGA (Make America Great Again, nda), conservatore e legato a doppio filo a Trump. La Stefanik prese il posto di Liz Cheney come capo della conferenza del GOP alla Camera, quando lasciò perché favorevole all’impeachment di Trump. Per il partito si è chiusa un’era.
Musk, intanto, si occuperà dell’efficientamento della pubblica amministrazione e della spending review. Ha già annunciato tagli: dove colpirà?
Vorrà dare un taglio netto alla burocrazia: meno stato possibile e meno controlli. D’altronde è una coalizione inedita quella che ha sostenuto Trump, dagli ultraliberisti ai liberali, ai libertari e ai democratici delusi. Con un debito delle dimensioni di quello americano, poi, se si vogliono ridurre le tasse bisogna tagliare le spese improduttive. Musk parla di una spending review che sarà pronta entro due anni, prima delle elezioni di metà mandato. Lo ha chiamato il Manhattan project del governo: una bomba atomica, con tagli drastici.
Su cosa si può abbattere la scure di Musk? La sanità, per esempio, è nel mirino?
Trump ha osteggiato l’Obamacare, la sanità pubblica, quella per gli over 65: sicuramente verrà meno un po’ di stato sociale.
Come si spiega l’uscita di Musk contro i giudici italiani che si sono occupati dei migranti che il governo Meloni ha inviato in Albania?
Considerando il personaggio e i rapporti che Musk ha con la nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni, l’uscita non sorprende. Certo, visto che è tra i ministri della nuova amministrazione Trump, avrebbe potuto risparmiarsela, anche se non sarebbe nello stile di un governo MAGA. Penso che continuerà a dire la sua su tutto.
In generale, chi si sta fregando le mani davanti al nuovo “governo” di Trump?
Un’industria che non rimpiangerà la precedente amministrazione è quella petrolifera: Trump aprirà a nuove licenze, farà ripartire quelle per l’export del gas naturale liquefatto che Biden aveva bloccato. Si tratta di settori cruciali che prevedono investimenti di anni. A Baku, per il COP29, non è andato nessuno: mi sembra evidente che ci sia voglia di un approccio meno ideologico alla lotta al cambiamento climatico. Perché poi, se la gente deve scegliere tra pane e benzina, preferisce comprare il pane. E con l’industria dell’auto in ginocchio, bisogna far ripartire questo settore.
Trump ha vinto anche per le sue politiche migratorie: Tom Homan è l’uomo per attuare le “deportazioni” dei migranti?
Era stato artefice dell’orribile politica di separazione dei figli degli immigrati dai genitori. Molti minori, poi, non si sa dove sono finiti. Non so se riusciranno a fare deportazioni di massa come hanno promesso. Biden, d’altra parte, non ha fatto di meglio e questo è un fenomeno che va regolato. Bisognerà vedere se la nuova amministrazione ha in mente una politica di largo respiro per la gestione delle frontiere o se si torna a misure anche un po’ aberranti o scene, alle quali ho assistito, di padri fermati mentre accompagnano figli a scuola chiedendo loro i documenti.
Al di là dei “ministri” di Trump, sarebbero in bilico altre due cariche, quelle del capo della FED Jerome Powell e della CIA Christopher Wray. Cosa ci dice questo sulle intenzioni di Trump?
Jerome Powell ha già detto che non si farà da parte, ma che si andrà alla battaglia legale: rivendica l’indipendenza della FED, ribadendo che il presidente non può dire quando e come allentare il costo del denaro. Trump potrebbe fare pressioni su di lui, un po’ come è successo anche in Europa con la BCE. Non è detto che le faccia anche perché la FED ha appena tagliato i tassi e la BCE dovrebbe rifarlo. Il trend è di tassi al ribasso e quello che vuole Trump non è licenziare Powell, ma valori più bassi per rilanciare l’economia.
(Paolo Rossetti)
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