Trump prepara la sua squadra e la prima poltrona è per una repubblicana doc come Susie Wiles, per alcuni la vera anima della campagna elettorale, che, forte della sua esperienza con altri esponenti del GOP, potrebbe organizzare la squadra del nuovo presidente evitando i caotici avvicendamenti nello staff che avevano caratterizzato il suo primo mandato. Di sicuro un ruolo importante lo giocherà Elon Musk: la sua vicinanza a Trump è tale che il tycoon lo vuole accanto a sé nelle telefonate che contano, come quella con Zelensky di questi giorni.
Musk e la grande industria che appoggia i repubblicani, osserva Francis X. Rocca, giornalista americano, ex corrispondente in Italia del Wall Street Journal, potrebbero anche ottenere un ammorbidimento della politica migratoria. Alle aziende serve un certo tipo di personale, di impiegati con competenze specifiche, che potrebbero provenire anche dall’estero. Trump, comunque, non sarebbe così interessato alla definizione dei ministri. Tranne quello della Giustizia: ha ancora dei processi in sospeso, anche se la pressione dei giudici sembra essersi un po’ allentata.
Elon Musk ha partecipato alle telefonate di Trump con Zelensky ed Erdogan. Sarà una sorta di eminenza grigia dell’amministrazione?
Durante la campagna elettorale Musk diceva di voler giocare un ruolo nell’efficientamento della pubblica amministrazione, tanto che, secondo alcuni, potrebbe prendere la guida del DOGE, il Department of Government Efficiency, per razionalizzare il funzionamento dello Stato. Nella campagna elettorale ha avuto un ruolo chiave, ha impegnato molto denaro ed è stato sempre vicino a Trump, andando con lui anche in Pennsylvania.
Visto che per Trump fare politica estera vuol dire combinare affari, Musk potrà essere al suo fianco anche da questo punto di vista?
Sarebbe interessante sapere quanto influenzerà le politiche sull’immigrazione. Trump ha promesso di ricondurre alle frontiere milioni di clandestini, ma certi suoi sostenitori, grandi figure dell’imprenditoria, come Musk e altri, potrebbero non essere del tutto d’accordo. A loro farebbero comodo dipendenti stranieri, soprattutto se si tratta di impiegati di alto livello, con competenze legate alla tecnologia. Per questo motivo, Trump potrebbe modificare certe posizioni.
Susie Wiles, intanto, sarà il capo dello staff. Ha lavorato con tanti repubblicani prima di Trump e non è certo un volto nuovo. Che ruolo avrà?
Wiles ha disciplinato la campagna elettorale di Trump ed è molto ascoltata dal presidente; per questo motivo, potrebbe avere grande influenza in questo nuovo mandato. Il primo era stato caotico e imprevedibile, con continui cambi di incarichi. Stavolta non dovrebbe essere così. Susie Wiles ha lavorato per tanti repubblicani, non è una figura che è emersa con il movimento del MAGA (Make America Great Again, nda).
Toccherà a lei, insomma, organizzare meglio il lavoro, evitando tutti gli avvicendamenti che ci sono stati durante la prima presidenza Trump?
Trump, nella sua prima esperienza da presidente, ha avuto tre capi dello staff. Immagino che la Wiles dirà la sua nella scelta dei ministri e nei rapporti con il Congresso. Ci sarà comunque una tensione tra i fedelissimi del presidente, quelli caratterizzati da un’ideologia populista, e i repubblicani più tradizionali, meno ideologici.
La scelta dei “ministri” è ancora in corso?
Secondo il New York Times, Trump è superstizioso; prima della vittoria non voleva parlare del nuovo governo. Forse anche per questo non ci sono idee chiare. Il Financial Times dice, comunque, che il rappresentante per il commercio internazionale sarà lo stesso della prima amministrazione Trump: Robert Lighthizer. Un personaggio importante perché la politica commerciale è stata il cuore della campagna di Trump, puntando in particolare sui dazi per le merci che provengono dall’estero. Per questo alcune imprese si sono già organizzate per far rientrare negli USA produzioni che prima erano state delocalizzate in Cina o in altri Paesi, dove i costi erano inferiori. Lo fanno proprio per evitare questo problema.
Trump ha messo in conto le possibili conseguenze che ci saranno aumentando i dazi e introducendone di nuovi?
Secondo i suoi sostenitori, la politica delle barriere doganali non avrà un gran peso: la maggioranza delle industrie riporteranno le fabbriche negli USA e l’introduzione dei dazi verrà presentata come una iniziativa che riguarda più la politica estera, come un’arma contro la Cina, che quella commerciale. Ci sono economisti che non sono d’accordo e hanno messo sull’avviso la nuova amministrazione, perché pensano che sarà un errore, però si punta sul ritorno in patria di molta della produzione che era stata spostata all’estero.
La nuova amministrazione, insomma, è convinta che prevarrà questo aspetto: le aziende rientreranno negli Stati Uniti?
Trump già nella campagna elettorale del 2016 sottolineava la perdita di lavoro per colpa della concorrenza straniera. Anche per questo ha ricevuto il sostegno di parte della classe operaia. Anche i sindacati, tradizionalmente alleati con i democratici, questa volta sono stati possibilisti con Trump; alcune importanti organizzazioni non hanno dato l’endorsement a nessuno.
Per il Segretario di Stato c’è qualche nome che gira? Per ora è uscito quello di Richard Grenell, può essere lui? E per gli altri posti?
Qualcuno dice che Trump non si interessa più di tanto alla lista dei ministri. Però gli interessa quello della Giustizia: ha avuto tanti problemi giudiziari, anche se sembra che si stiano risolvendo rapidamente. E si preoccupa anche del direttore della CIA. Tra i nomi che girano per un posto nell’amministrazione c’è quello di Mike Pompeo, ma non c’è niente di definito. Sarà una scelta importante quella del ministero della Difesa.
Al di là dei nomi, quali saranno le priorità della nuova presidenza?
La questione dell’immigrazione sarà una priorità. E poi la politica commerciale con la Cina. Trump ha promesso di risolvere la guerra in Ucraina. Qualcuno, ma potrebbero trattarsi solo di speculazioni, ha balenato la possibilità che a Gaza gli ostaggi potrebbero essere rilasciati solo per paura dell’avvento del presidente repubblicano. Nel 1981 gli iraniani liberarono ostaggi americani proprio nel giorno dell’insediamento di Reagan.
(Paolo Rossetti)
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