NEW YORK – Che gioia quando Irene era nata! Era arrivata dopo due maschietti e la sua famiglia l’aveva accolta con tanto amore e gratitudine. Per i primi tre mesi di vita si era dimostrata una bimba vivace, piena di energia, e anche molto carina. La gioia della sua famiglia.
Poi qualcosa è cambiato. La mamma si era accorta ad un certo punto che non mangiava più vigorosamente come prima, ma – si diceva – sarà una cosa passeggera. Anche la sua vivacità sembrava lievemente diminuita. Passano i giorni e Irene non sembra più la bimba di prima. E qui inizia il pellegrinaggio dai medici. Prima il pediatra di famiglia, poi il gastroenterologo – magari non assorbe bene, non cresce ed è debilitata e per questo si muove di meno –, poi il neurologo che ordina alcuni esami, poi chiede il consulto con un altro neurologo e un genetista.
Nel frattempo Irene continua a peggiorare e viene ricoverata per accertamenti. Dapprima ha bisogno di aiuto con la nutrizione, poi anche con la respirazione. Dopo 40 giorni, c’è la diagnosi: malattia mitocondriale. Il genetista spiega questo ai genitori: “Il mitocondrio è un piccolo organello che fa respirare la cellula e nel caso di Irene questo organello sta perdendo la sua funzione. Se la cellula non può respirare anche gli organi non possono più respirare e poi tutto il corpo non respirerà più. Purtroppo, non ci sono cure. Irene avrà una vita breve. Mi spiace molto”.
È difficile descrivere il dolore acuto di questi genitori, l’incredulità dapprima – “non è possibile, ma questo è un brutto sogno” – e poi le domande – “ma perché Irene non può vivere e godere della vita come tutti gli altri bambini? E perché proprio lei?”.
Sono domande che si fanno anche i medici che si prendono cura di Irene, loro sanno che non solo la sua vita sarà breve, ma sarà costellata di dolore, soprattutto se si cercherà di tenerla in vita il più lungo possibile. In terapia intensiva questi poveri piccoli vengono sottoposti a prelievi in continuazione per misurare lo scambio di gas nel sangue, hanno tubi da tutte le parti nei loro corpicini, non possono succhiare dal biberon o dal seno materno, non possono andare a casa con la loro famiglia. I medici che si prendono cura di Irene spiegano che tutte queste terapie e interventi invasivi possono essere sopportati in vista della guarigione o di un miglioramento, ma perché fare tutto questo se la vita di Irene sarà breve?
È inimmaginabile il dramma di questi genitori che amano tanto la loro piccola e sono posti di fronte a questo dilemma. Si dicono “Se tutto questo trattamento non serve a guarirla, è inutile, la facciamo soffrire per niente…, ma l’alternativa è lasciarla andare, perderla…”.
In mezzo a questo dramma straziante si ricordano di una cara amica di famiglia che è anche medico e decidono di chiederle aiuto. La dottoressa si rende subito disponibile, e si incontrano il giorno dopo. “Quando avete accolto Irene alla nascita mi avete detto che eravate così felici perché era un dono quasi inaspettato. Era vero allora ed è vero adesso, la sua vita è data, e dunque è preziosa e va rispettata così come è. L’ultima parola sulla sua vita è di Colui che ve l’ha data. La vera domanda da farsi è: qual è il destino di Irene? E voi come genitori come potete accompagnarla verso il suo destino?”.
I genitori annuiscono, capiscono quello che l’amica dottoressa sta dicendo. E lei riprende: “Come facciamo a capire il destino della vostra bimba? Ce lo dice nostro Signore attraverso di lei. Dio agisce nella realtà, ci dà dei segni. Irene ha una malattia incurabile che è arrivata ad uno stadio di gravità estrema. Senza il ventilatore lei non ci sarebbe più. Dovete chiedervi cosa il Signore chiede a lei e chiede a voi”. La mamma piange e dopo un lungo momento di silenzio sussurra: “Abbiamo bisogno di tempo, è troppo presto per decidere”.
Altri giorni passano, Irene sta sempre peggio, ha diversi episodi di convulsioni che richiedono altre medicine e il supporto del ventilatore deve essere aumentato. I genitori sono sempre al suo capezzale e cercano di tenerla in braccio il più possibile, di confortarla come possono. Dopo un paio di settimane l’amica dottoressa va a trovarli e chiede come sta Irene. “Non tanto bene, adesso ha le convulsioni quasi ogni giorno e i farmaci che le danno la fanno dormire, non ci riconosce neppure più, però non riusciamo a decidere di lasciarla andare”. “Capisco. Non riesco neppure a immaginare il vostro dolore vedendola così malata e sofferente. Però suggerisco una cosa. Invece di dire “lasciarla andare” non sarebbe più vero dire “rimetterla nelle braccia di Chi ve l’ha data?” Pensateci”.
Passano alcuni giorni ed è la Vigilia di Natale. Il cellulare della amica dottoressa suona, “siamo noi, qui in ospedale con Irene, abbiamo pensato a quello che ci hai detto, stanotte è Natale, volevamo affidare Irene al bambino Gesù. Verresti qui con noi?”. Uno scambio di bimbi, Gesù che scende dal Cielo ed Irene che va nelle braccia del Padre. Gesù è venuto a vivere con noi per rendere possibile che la morte non vinca più ma la vita – quella vera – vinca sempre.
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