I giornalisti al giorno d’oggi sono da considerarsi i “testimoni del nulla”, incapaci ormai di suscitare attenzione, commozione, pietà verso i più deboli, come sostiene Domenico Quirico; o sono, invece, come pensano molti fautori del “digital first” i pionieri di nuovi scenari nella post-pandemia?
E ancora, quali forme nuove possiamo usare per raccontare i drammi e le notizie del nostro tempo? E quale formazione possiamo dare ai giovani che si accingono a intraprendere il mestiere di chi scrive la storia quotidiana?
Sono questi alcuni dei temi al centro del terzo Workshop internazionale di giornalismo che da oggi (giovedì 17) al 21 giugno vedrà presenti alla Scuola Superiore dell’Università di Catania alcune grandi firme: Ferruccio de Bortoli, Jeff Jarvis, Domenico Quirico, Fernando de Haro, Madhav Chinnappa, Anna Masera, Raffaella Silipo, Annalisa Monfreda, Guido Tiberga e Clara Attene, solo per citare alcuni nomi.
Il Workshop, come detto, non è l’evento passeggero di una stagione, né una passerella di personaggi dell’informazione. E’ un lavoro, cominciato nel 2017, che continua. Può risultare utile ricordare la genesi di questa iniziativa e il metodo che la caratterizza. L’idea del Workshop, un vero e proprio laboratorio di giornalismo, è nata da due esigenze.
Da una parte capire come si supera la crisi del giornalismo tradizionale. Pensiamo al momento difficile che stanno attraversando i quotidiani: tra il 2006 e il 2020, in media, i giornali italiani hanno avuto un calo del 50% delle vendite. All’inizio della pandemia era già obsoleto un modello di informazione e cominciava lentamente ad affermarsene un altro: quello online. Con l’emergenza Covid-19 questa crisi è cresciuta e i processi di cambiamento hanno assunto una improvvisa accelerazione. Ma, al tempo stesso, davanti alla mole enorme di fake news, il giornalismo tradizionale ha ritrovato un suo ruolo fondamentale. Da riscoprire.
La domanda che domina, dunque, è come immaginare il giornalismo ai giorni nostri. Basta fare la scelta del “digital first”? O serve anche riscoprire i “fondamentali” di una buona informazione?
La seconda esigenza che ha dato vita al Workshop è la pratica di un dialogo intergenerazionale. Cosa dire – ci siamo chiesti – ai giovani che collaborano già con noi? Che il giornalismo è finito? Che non c’è speranza di trovare lavoro? E cosa dire agli allievi dei corsi di Scienze della comunicazione che chiedono lumi sul loro futuro?
Nella risposta a queste domande, ci hanno aiutato alcuni giovani colleghi, che hanno rischiato sulla propria pelle, provando a fare i giornalisti in questo mondo cambiato e, per di più, scegliendo come base la Sicilia. Ci riferiamo all’iniziativa del “Sicilian Post”, che quest’anno organizza il Workshop con la partnership di molti enti nazionali e internazionali. Quando abbiamo visto i primi segnali positivi per “Sicilian Post” (il premio Nostalgia di Futuro – Giovannini 2017 per le migliori start up giornalistiche italiane; o il fatto che Google abbia finanziato una loro idea all’interno del Digital News Innovation Fund nel 2018) abbiamo cominciato a prendere sul serio l’idea che ci potesse essere un futuro per nuove forme di giornalismo, anche in Sicilia.
Di cosa c’era bisogno? Certamente di giovani disposti a rischiare, e di finanziamenti, ma soprattutto di creare una rete, di trovare alcuni maestri e amici giornalisti o manager disposti ad accompagnare questo cammino. Per fortuna li abbiamo trovati: colleghi di varie testate nazionali e internazionali che da alcuni anni ci stanno accompagnando in una maniera intelligente e creativa.
Un punto di svolta – non l’unico, ma certamente il più emblematico – è avvenuto quando, nell’inverno di 2 anni fa, un manager che opera all’estero è venuto a Catania apposta per fare un pranzo con la giovane redazione del “Sicilian Post”. E, dopo aver ascoltato attentamente cosa facessero e come lavorassero i giovani giornalisti che operano alle falde dell’Etna, ha fatto una domanda spiazzante. Ha chiesto: “Come potete aiutarci?”. Il manager di un’azienda che fattura miliardi di euro, chiede ad alcuni giovani: come potete aiutarci?
A distanza di due anni, aveva ragione lui. Quei giovani che erano al tavolo si sono inventati un’idea che è stata accolta e sposata da quella azienda che opera a livello internazionale nel settore bancario-assicurativo.
Il dialogo fra giovani e maestri è lo spirito del Workshop catanese. Esso è pensato per creare momenti laboratoriali in cui 32 giovani giornalisti e aspiranti comunicatori, provenienti da tutt’Italia, abbiano la possibilità di imparare da maestri nel settore e, al tempo stesso, di dialogare con loro.
La sorpresa di quest’anno è la rete di partner che sostengono l’iniziativa. Basta scorrere l’elenco per averne un’idea. Agli storici patrocinatori dell’iniziativa (Fondazione Domenico Sanfilippo editore, Università di Catania, Scuola Superiore di Catania e Teatro Stabile) si sono aggiunti, tra gli altri: Accademia di Belle arti di Catania; Ordine dei giornalisti di Sicilia; The European House Ambrosetti e Rai per il Sociale.
Questa rete è il valore aggiunto dell’evento. Perché tutti i partner – ciascuno con la propria specificità e le proprie competenze – hanno offerto una fattiva collaborazione che rende i giovani organizzatori capaci di iniziative prima impensabili. Solo così esperienza e tradizione si possono fondere con intraprendenza e innovazione. Anche nel mondo dell’informazione.