NEW YORK – È una sera primaverile del 2018, e vengo chiamata di urgenza in sala parto. Una donna che è solo a 24 settimane di gestazione (poco più di 5 mesi) sta per partorire e non c’è verso di fermare il travaglio.

Vado ad incontrarla in sala parto. La mamma è in distress per le contrazioni, è preoccupata, ma insolitamente calma e questo mi stupisce un po’. Mi concentro per trovare le parole giuste per trasmetterle, insieme ad ovvio realismo, anche fiducia e speranza. Le dico subito che la nostra missione è di salvare i neonatini, e che faremo di tutto per aiutare il suo bimbo, ma che sarà una lotta dura: questi bimbi sono tanto delicati. Sottolineo però che il nostro ospedale è uno dei migliori nel mondo per la cura dei bimbi prematuri e che non tutti, ma molti dei bimbi passati tra le nostre mani, ce l’hanno fatta.



Le anticipo che anche nel migliore dei casi sarà un “long journey ma saremo insieme “step by step” a prenderci cura del piccolo fino al giorno che sarà in forze per andare a casa.

Sento il mio cuore vacillare un po’ mentre dico “andare a casa” perché il rischio di non farcela è significativo a 24 settimane, poi un maschietto… le femmine hanno generalmente una prognosi migliore, questo è ben riconosciuto dalla scienza.



Lei mi sorride e mi dice con relativa calma: “Dottoressa non si preoccupi. Questo bimbo è forte, lo sento muovere, vuole vivere ed oggi è qui con noi. Questo è ciò che conta adesso, e anche lei può essere certa di questo”.

Cosi mi ritrovo io a ricevere fiducia e speranza dalla mamma.

Jacob nasce e pesa 580 grammi. Cerca di respirare ma i suoi polmoni sono troppo piccoli e immaturi, così sviluppa un distress respiratorio grave, riceve il surfattante e ha bisogno di tanto supporto respiratorio. È intubato e connesso con una macchina che lo fa respirare artificialmente. Nelle prime 24 ore si aggrava sempre di più, aumentiamo il supporto respiratorio, dapprima con 30 atti al minuto, poi 40, poi 100, aumentiamo l’ossigeno al 100%. In seconda giornata questo supporto non è più abbastanza, per cui decidiamo di usare una macchina potentissima che lo fa respirare 600 atti al minuto, praticamente gli fa oscillare i polmoni per ottenere l’ossigenazione necessaria per vivere. Dobbiamo anche somministrare farmaci per mantenere la sua pressione arteriosa stabile, trasfusioni di sangue, e antibiotici per una infezione seria.



Io sono molto molto preoccupata, e, pur mantenendo dei toni positivi, cerco di preparare questa mamma al peggio, anche se c’è sempre la possibilità che Jacob migliori.

Durante i miei dialoghi giornalieri con questa mamma percepisco che è lei che mi rincuora. Che strano. Ha quella che io chiamerei una certezza rocciosa. “Voi dottori e infermiere siete fantastici, questo è l’ospedale migliore del mondo… ho tanta fiducia in voi e nella medicina. Ma sopratutto Jacob è qui, lo vede? sta lottando come può e oggi è qui con noi. Questa è la sola cosa che conta”.

E così per 6 mesi, “step by step” passando attraverso infezioni setticemiche, alcuni episodi di insufficienza renale, un’operazione al cuore per chiudere il dotto arterioso, trasfusioni di sangue e piastrine, e altre varie complicazioni, ma Jacob va avanti giorno dopo giorno sostenuto dalla certezza rocciosa della sua mamma. Ogni giorno la mamma ci dà il suo commento durante il giro visite: “il mio Jacob resiste, ma lo guardi com’è carino oggi?” “Ma ha visto come mi stringe le dita… oggi ha anche aperto gli occhi”. “Jacob è un po’ stanco oggi, ma dorme come un angioletto” e così via per mesi.

Una bella mattina di settembre la mamma di Jacob arriva in ospedale con una gran torta e pasticcini per tutti, medici, infermiere e genitori di altri bimbi ricoverati! È una gran festa, oggi Jacob va a casa!

Lui sembra il bambino più sano del mondo, respira bene e succhia dal biberon come se nulla gli fosse successo negli ultimi 6 mesi.

Oggi Jacob ha 2 anni, saltella, chiacchiera ed ha una personalità solare. La sua mamma mi manda fotografie o passa a salutarmi per farmi vedere i suoi progressi e con calma ogni volta mi dice “Sarò grata per sempre a voi medici e infermiere, avete fatto l’impossibile, ma cosa le avevo detto? Io lo sapevo fin dall’inizio che Jacob sarebbe venuto a casa”.

Cosa vedeva questa mamma? Cosa l’ha sostenuta nella sua incredibile positività?

Il suo amore di mamma le ha fatto vedere l’eternità di ogni istante. In ogni minuto, in ogni ora, in ogni giorno, in ogni “adesso” ella ha affermato che la vita c’è anche quando il bollettino medico sembrava prevedere il contrario. Perché in realtà la vita c’era in ogni “adesso” e vinceva.

Per questa mamma ogni istante è eterno e la vita eterna è ora.