In una società dove il numero dei poveri aumenta sempre di più toccando cifre paurose di diversi milioni di persone, e che dopo la pandemia Coronavirus saranno destinate ad aumentare, la storia di Alessandro è la storia di tantissimi. Con un punto diverso, però, che sfortunatamente non capita a tutti: l’incontro con qualcuno, come dice lui, “che sia disposto a tenderti la mano”. Una serie di sfortune (un incidente stradale e poi la chiusura della ditta dove lavorava) lo ha portato a essere uno di quei tanti “invisibili”, dice ancora Alessandro, “che prima scansavo o non guardavo, ma che sono un mondo dentro al mondo della nostra società”. Alessandro incontra la Fondazione Progetto Arca, nata nel 1994 da un gruppo di amici mossi dal desiderio di fare qualcosa di concreto per le persone in stato di indigenza, e la sua vita ricomincia. Dopo l’esperienza in dormitorio, riceve l’opportunità di vivere in un appartamento a Roma messo a disposizione della Fondazione: Casa Arca. Decide anche di coinvolgersi tra i volontari dell’Unità di strada della Capitale che, grazie al suo impegno e alla sua voglia di fare, oggi dirige dopo essere stato assunto da Progetto Arca. Oggi ha quindi un lavoro e sta studiando per diventare operatore sociale, per rimanere in quel mondo dove aveva toccato il fondo e dare una mano a chi si trova in condizioni che lui ben conosce: “È il punto di vista che cambia la prospettiva”.



Da un giorno all’altro ti sei trovato privato di tutto: lavoro, casa e sei finito per strada. Cosa significa concretamente, in una situazione del genere, non perdere la dignità?

Vivendo per strada perdi le possibilità minime di essere un essere umano. Parlo di cose banali come il lavarsi, anche se esistono dei punti dove puoi andare a farti una doccia, ma non è come stare a casa. Non hai la possibilità di pulirti in modo approfondito. Ho visto molte persone che si lasciano andare non solo a livello di igiene personale, ma anche fare i bisogni senza pudore in strada senza porsi un dubbio. Per me non perdere la dignità significa anche non abbassarsi a espedienti che vanno a rivoltare la tua vita.



Cioè?

Quando vivi per strada c’è gente pronta a sfruttarti per il tuo bisogno di rimediare qualche soldino. Ti faccio un esempio: c’è gente che in cambio di qualche moneta ti manda a comprare telefonini a rate, poi se li tiene e non paga più, e la colpa ricade su di te. 

Cos’è stato che non ti ha fatto cadere così in basso?

Un po’ il retaggio dell’educazione che ho ricevuto e un po’ il capire che quando sei in strada 10 o 20 euro ti possono far comodo, ma occorre sempre pensare al proprio futuro. La mia prospettiva non era restare a vivere sulla strada con la fedina penale sporca.



Poi nel 2015 c’è stato l’incontro con Progetto Arca, che ha portato a un importante cambiamento nella tua vita…

L’impatto è stato strano, ero un po’ diffidente. Dopo due o tre anni fra centri di accoglienza, quando mi fecero la proposta di un alloggio a Casa Arca quasi non ci credevo. Conoscerli è stata la mia salvezza, non so dove sarei adesso. Oggi ho un lavoro, vivo in una casa in affitto e ho ripreso gli studi. Conta molto la propria volontà, ma anche incontrare qualcuno che ti dà una mano. A Roma Casa Arca è l’unico progetto di accoglienza che offre alle persone senza dimora una possibilità di ripartire.

In effetti ci sono tante strutture di accoglienza, qual è la differenza con Casa Arca?

Roma non è strutturata per un percorso di reinserimento delle tante persone che vivono per strada. Il centro di accoglienza è un posto labile e non sei seguito singolarmente per reinserirti. Hai un posto letto dove dormire, poi alla mattina devi uscire e stai per strada da solo tutto il giorno. Casa Arca offre la possibilità di riscoprire i ritmi di una vita normale, fatta di rapporti di fiducia da curare ogni giorno e di regole da rispettare per favorire il reinserimento.

Adesso stai lavorando e studiando per diventare operatore sociale. Cosa ti ha fatto decidere di rimanere nell’ambiente da cui sei uscito?

Dico sempre che la prospettiva cambia il punto di vista. Prima i bisognosi li incontravo, ma erano invisibili, li scansavo. Capitandoci purtroppo dentro ti accorgi che c’è un mondo dentro il mondo della città. Sono invisibili, ho vissuto il disagio che si prova a stare in mezzo alla strada, può capitare a chiunque, ho toccato la sofferenza e le umiliazioni e ho deciso che dove serve aiuto vado, mettendo a servizio la mia esperienza. Spesso guardiamo senza guardare, è lo sguardo sul prossimo che ci cambia.

(Paolo Vites)