“Ho pianto per tanti anni perché non avevamo una chiesa e il vecchio parroco mi ha sempre detto di continuare a sperare e pregare. Oggi sono contento come un bambino, sono rinato. Si è compiuto il desiderio per cui ho pianto e pregato per tanto tempo, fin da quando ero bambino, ed è accaduto prima della mia morte. Mi dispiace solamente di non saper parlare l’italiano, per potervi ringraziare nella vostra lingua”.



Sono le parole con le quali un anziano parrocchiano di Bazreche, un villaggio etiope nella regione del Guraghe, diocesi di Emdibir, villaggio sito a circa 230 km a sud-ovest di Addis Abeba, a 4-5 ore di viaggio dalla capitale, ha ringraziato don Carlo Gervasi, che il 5 gennaio 2022 è volato in Etiopia per l’inaugurazione della nuova luminosa chiesa costruita con il finanziamento della parrocchia di San Marco a Udine e dedicata a San Michele Arcangelo.



Eppure, la parrocchia udinese da oltre 7 anni è impegnata nel progetto di ristrutturazione della propria chiesa, che data 120 anni di vita, mostrandoli tutti, e ha trovato in questo percorso ostacoli amministrativi e burocratici d’ogni tipo, con conseguente incremento dei costi. E se in Etiopia son bastati appena 7 mesi per costruire la nuova bellissima chiesa, in Italia, a Udine, nell’efficientissimo Nord-Est, ci son voluti 7 anni di grande impegno per arrivare all’approvazione di un progetto definitivo e alla conseguente apertura del cantiere, mentre ora servirà almeno un altro anno per completare i lavori.



Infatti, l’occasione dell’inaugurazione della nuova chiesa in Etiopia riporta le lancette della storia della parrocchia di Udine alla nascita della propria chiesa, quando a inizio 900, a cavallo tra XIX e XX secolo, in appena 9 mesi venne costruita con il concorso di tutto un popolo, fatto di gente ricca e gente povera, di chi ha donato tanto e di chi ha messo a disposizione solamente il proprio lavoro; e si tratta sempre della chiesa che ora è oggetto di ristrutturazione.

Ma tornando all’oggi e alla parrocchia di Bazreche in Etiopia, una parrocchia che si estende su un territorio grande come una provincia italiana, anche don Carlo Gervasi, seppure di tempra montanara, alpinista per passione delle grandi viste panoramiche e ancor più abituato dai suoi studi in geologia ad avere a che fare con le rocce, si è commosso per l’aver toccato con mano la cattolicità della Chiesa universale e racconta che “non conoscevamo nessuno dei parrocchiani di Bazreche, non li abbiamo mai visti nemmeno in fotografia. Proprio per questo motivo apprendiamo molto da questa gratuità nei confronti di fratelli sconosciuti, una gratuità che sarà ancora più importante continuare a vivere in futuro”.

Ma com’è nata l’iniziativa di costruire la nuova chiesa in Etiopia? Lo ha raccontato lo stesso don Gervasi nel bollettino parrocchiale, ricordando l’amicizia con il vescovo francescano di Emdibir, monsignor Musie Ghebreghiorghis, nata nel 2010 e, grazie alle sue visite annuali in Italia, mai interrotta. Ed è stato proprio in una di quelle visite che l’eparca Ghebreghiorghis ha raccontato che tante persone lo sostenevano per la realizzazione di pozzi d’acqua, ambulatori, gruppi elettrogeni e aule scolastiche, ma che nessuno voleva finanziare la costruzione di una nuova chiesa. E di fronte a questa amara considerazione, il Consiglio pastorale di San Marco, già impegnato significativamente per la ristrutturazione della propria chiesa, non ha avuto alcun dubbio nell’approvare il finanziamento per la costruzione del nuovo edificio religioso in Etiopia, pensando di poter contare sugli introiti delle sagre patronali del 25 aprile, poi saltate a causa della pandemia da coronavirus.

Così, l’8 gennaio 2022, il giorno dopo la celebrazione in Etiopia del Natale per i cattolici di rito orientale, che rappresentano solo il 3% della popolazione del paese africano, una folla in festa si è radunata davanti alla nuova grande chiesa di Bazreche, esprimendo tutta la propria gioia per un dono così gradito. Del resto, a qualche decina di metri dal nuovo edificio, fa ancora brutta mostra di sé la buia e nera grande capanna che fungeva da cappella per la liturgia. E, nell’occasione, non è mancata la partecipazione dei musulmani alla festa, perché tutti nel paese africano, a partire dallo Stato, riconoscono la fede e la dinamicità dei cattolici.

Infatti, limitandosi alla sola diocesi di Emdibir, retta dal vescovo Ghebreghiorghis e suddivisa in 24 parrocchie, ognuna estesa poco meno di una provincia italiana, si deve dire che dal 2003 sono stati costruiti 50 scuole, 10 cappelle, due ospedali, diversi poliambulatori, centri per anziani, mense per i poveri e anche una fattoria agricola, con oltre mille persone occupate in tutte queste iniziative. Ma è proprio nel settore agricolo che quella diocesi ha fatto grandi progressi negli ultimi 3 anni, rivoluzionando l’agricoltura tradizionale, dotandosi di una stalla moderna, di piantagioni di caffè, foraggio, mais per farina e mangime, di un vivaio di piante di avocado. E proprio all’inizio del 2022 la stessa diocesi ha attivato un nuovo grande poliambulatorio al servizio di una popolazione di 15mila persone, che sono per lo più di religione ortodossa e musulmana, come lo sono gli stessi beneficiari di tutte le opere diocesane.

Tutto ciò sta avvenendo mentre a poche centinaia di chilometri, nel Nord dell’Etiopia, si combatte ancora la terribile guerra civile che vede l’esercito governativo contrapposto ai ribelli del Tigray.

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