Sono più di 15mila le persone seguite ogni giorno in Italia dai volontari di Progetto Arca, un’esperienza quasi trentennale nata a Milano seguendo le orme di Fratel Ettore nell’accoglienza dei senza dimora. E oggi sono un migliaio le persone che ogni giorno trascorrono la notte nei centri della fondazione, mentre tutte le altre sono aiutate con i pacchi viveri, il social market, la formazione lavorativa.



Nelle situazioni di grave emarginazione sono 440 i volontari impegnati. Nel 2022 hanno distribuito 242mila pasti e 18.400 pacchi viveri. Numeri importanti che dicono di una realtà pronta a farsi carico del bisogno dei più emarginati con un obiettivo ben preciso: aiutare ogni persona a raggiungere l’autonomia.

E lunedì in occasione della presentazione al Comune di Napoli del rapporto Sussidiarietà e… sviluppo sociale curato dalla Fondazione per la Sussidiarietà, una delle due testimonianze emblematiche su questo tema è stata affidata proprio al presidente di Progetto Arca Alberto Sinigallia.



Nel rapporto i ricercatori hanno approfondito quattro casi concreti: Portofranco, che opera per prevenire gli abbandoni scolastici; i Banchi di Solidarietà, per il contrasto alla povertà; Progetto Arca, per l’inclusione sociale; Fondazione don Gnocchi, in ambito socio-sanitario. Quattro esperienze esemplari, con un impatto da cinque a dieci volte superiore rispetto alle risorse investite. Lo studio documenta che lo sviluppo sostenibile si può raggiungere solo con la spinta dal basso, frutto della cultura sussidiaria.

L’esperienza di Progetto Arca è la prova sul campo che la sussidiarietà non è un principio astratto, ma si traduce in un approccio ben caratterizzato alle situazioni di bisogno. Da questo punto di vista cosa insegna la vostra storia?



Sicuramente la vicinanza alle persone in stato di bisogno è il sentimento che sta all’origine della nostra azione. Questa è la parte che chiamerei “emotiva” da cui tutto inizia e che ci porta poi invece a razionalizzare e a capire cosa fare per mettere in campo risposte concrete ed efficaci nelle diverse situazioni che incontriamo. Ci muoviamo sicuramente sui bisogni primari come il cibo, la doccia, il sacco a pelo, che diventano offerta di una vicinanza reale alle persone che sono in grave stato di necessità e senza dimora. Poi ci sono le persone che pur avendo un alloggio, non riescono ad arrivare a fine mese, in questo caso interveniamo per esempio con il supporto alimentare o con un aiuto per l’educazione dei figli, per la casa e per il lavoro che sono condizioni indispensabili per uscire dallo stato di indigenza.

La vostra esperienza dimostra che ogni vero sviluppo parte dal farsi carico dei bisogni della persona concreta senza sostituirsi a essa…

È così. Si tratta di far sì che le persone riprendano in mano la propria vita. Per noi questo è decisivo, è una responsabilità loro. Noi le accompagniamo, siamo la “stampella” per chi deve fare riabilitazione. Noi le seguiamo in un percorso finché loro hanno bisogno di noi, di questa stampella. Dopodiché l’obiettivo è riuscire a camminare da soli, non è cronicizzare la situazione ma portare le persone all’autonomia. Per questo abbiamo costituito un’impresa sociale che si occupa proprio di inserimento lavorativo. Sono oltre 100 le persone all’anno coinvolte in questi percorsi. Senza dimenticare la questione abitativa: la nostra area housing con 130 alloggi offre un primo aiuto nei primi mesi alle persone che sono in strada o sono state sfrattate o che comunque si ritrovano senza casa. Per un periodo dai 12 ai 18 mesi le accompagniamo dando loro un’abitazione e aiutandole con il supporto dell’assistente sociale, dello psicologo, dei diversi operatori a riconquistare un’autonomia abitativa e lavorativa.

Quella di Progetto Arca è una storia nata dal basso, dalla strada. Sta qui forse il segreto dell’efficacia delle risposte che vengono date, rispetto a un approccio calato dall’alto che inevitabilmente tende a diventare burocratico? 

Assolutamente è fondamentale partire dall’empatia con le persone, dal condividere la vita con loro e da lì capire di che cosa hanno bisogno. Per questo la vicinanza, uscire tutte le sere e incontrare le persone in strada, sentirle e fare migliaia di colloqui all’anno con loro, è utile proprio perché ogni percorso è diverso, ogni storia è diversa. C’è chi vive una crisi emotiva, chi parte da una crisi economica, chi si ritrova un’incapacità lavorativa. Veramente le situazioni che incontriamo sono le più disparate per cui l’essere vicino è determinante. Vorrei ricordare che nasciamo da Fratel Ettore che tutte le sere era alla Stazione Centrale di Milano ad aiutare i diseredati dando un sostegno materiale ma sempre per arrivare all’ascolto delle persone che è la parte più importante. Noi la chiamiamo pausa di silenzio, perché poi in questo silenzio arriva la migliore risposta. Tante volte infatti la prima risposta che istintivamente si è portati a dare non è quella giusta. Invece solo da un ascolto delle persone può maturare la capacità di offrire una risposta vera.

Quello che offrite è un servizio a tutti gli effetti di rilevanza pubblica, che arriva là dove il cosiddetto ente pubblico spesso è assente…

Non intendiamo certo sostituirci al servizio pubblico, noi però abbiamo una velocità diversa negli interventi, non siamo appesantiti dalle strutture burocratiche. Le faccio un esempio, nel caso dell’Ucraina, ma lo stesso è successo con il terremoto in Turchia, in 48 ore eravamo sul posto, abbiamo aperto mense per dare da mangiare a migliaia di persone al giorno. Ci ritireremo nel momento in cui arriverà la ricostruzione. Grazie a un fondo di emergenza alimentato dai nostri amici e dai nostri donatori riusciamo a intervenire gratuitamente dove le istituzioni pubbliche non possono arrivare.

È possibile costruire una sinergia positiva tra la struttura pubblica e le risposte che arrivano da soggetti non profit come voi? 

Noi collaboriamo molto col pubblico negli ambiti di sua diretta competenza come per esempio i servizi per l’emergenza freddo piuttosto che per i profughi. In alcuni casi ci siamo anche convenzionati, ma la gran parte della nostra attività la facciamo proprio dove il pubblico non arriva. E in questo lavoro riceviamo un sostegno da fondi pubblici, ma soprattutto da soggetti privati come le aziende che in questo momento ci stanno dando una grande mano sulle tante emergenze che ci troviamo ad affrontare.

(Piergiorgio Chiarini)

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