Dai senza dimora delle strade di Milano a quelli che vivono negli slum di Calcutta nel solco di un’esperienza che lega Fratel Ettore a Madre Teresa. In prima linea dentro la povertà estrema. Dalla fine del 2022 Fondazione Progetto Arca, la onlus nata a Milano nel 1994 per portare un aiuto concreto a persone che si trovano in stato di grave povertà ed emarginazione sociale, ha avviato una collaborazione in India con l’associazione Seva Kendra Calcutta che ha portato all’apertura di un forno per sfamare bisognosi, malati indigenti e senzatetto che vivono nelle strade di uno degli slum più poveri della megalopoli indiana. «Dopo pochi mesi sono già circa un migliaio le persone che ogni giorno ricevono un sostegno alimentare grazie al forno», racconta Alberto Sinigallia, presidente di Progetto Arca.

Con questa iniziativa per la prima volta Progetto Arca esporta fuori dall’Italia il suo modello di assistenza dei più poveri, in un contesto peraltro di estremo bisogno come quello di Calcutta. Com’è nata questa collaborazione? 

In realtà è nata prima di Progetto Arca. Poco più di trent’anni fa ero stato a Calcutta quando Madre Teresa era ancora in vita e avevo fatto un’esperienza di tre mesi con lei. I miei maestri sono stati Fratel Ettore a Milano con i senza dimora e Madre Teresa a Calcutta. E verso di loro ho sempre avuto un anelito di restituzione. Negli ultimi anni abbiamo già iniziato a fare qualche progetto internazionale per prestare aiuto in situazioni di emergenza dall’Africa a Lesbo, dall’Ucraina al terremoto in Turchia, però mi sono detto che dovevamo fare qualcosa anche a Calcutta. Credo sia la città più povera al mondo dove ancora si muore di fame per strada. E così ho contattato le suore di Madre Teresa e attraverso l’associazione Seva Kendra, collegata alla Caritas di Calcutta, è stata assegnata la location dove abbiamo realizzato il forno. Lì abbiamo iniziato a produrre pane (adesso siamo a un quintale al giorno) e dal mese scorso anche i primi e i dolci, che vengono consegnati alle suore di Madre Teresa per essere poi distribuiti ai senza dimora che si rifugiano nelle stazioni.

Un filo rosso che va da Fratel Ettore a Madre Teresa che oggi continua in forme nuove…  

Loro si volevano molto bene, Madre Teresa era venuta anche a Milano in via Sammartini nel rifugio di Fratel Ettore e questi era andato al suo funerale a Calcutta. Hanno avuto esperienze molto simili anche nel modo di svolgere la loro missione.

Rispetto agli interventi di emergenza con l’iniziativa di Calcutta l’intenzione è sviluppare una presenza stabile e strutturata di Progetto Arca anche all’estero sul modello di quanto fate in Italia?

Assolutamente sì. Adesso per esempio stiamo progettando con Fondazione Fiera un intervento in Turchia per costruire cento case prefabbricate proprio nell’ottica di una continuità di presenza tra quelle popolazioni, tenendo anche conto che per la ricostruzione serviranno anni. Da quest’anno abbiamo cambiato il nostro statuto diventando a tutti gli effetti una ong in grado di operare all’estero beneficiando anche di fondi della Farnesina o dell’Unione europea. Da settembre partirà inoltre una campagna di raccolta fondi che probabilmente si chiamerà «Arca nel mondo» per sostenere tutti i progetti che verranno sviluppati all’estero.

Nel caso di Calcutta l’aiuto alimentare è centrale come avviene già in molte città italiane dove siete presenti…

Risposta al bisogno alimentare e vicinanza, è il binomio in base al quale cerchiamo di muoverci. Le persone che aiutiamo trovano soprattutto rifugio nelle stazioni. A Calcutta ci sono famiglie intere che arrivano dal Bangladesh, che spesso hanno perso tutto e rimangono in stazione per settimane o addirittura per mesi. È una situazione dal punto di vista umano veramente impegnativa. Sono decine di migliaia le persone che vivono in strada, ma è difficile fare una stima esatta perché c’è gente che arriva tutti i giorni. Prima del progetto del forno, durante la seconda ondata di Covid, Progetto Arca aveva avviato le prime attività di sostegno alimentare in India. La chiusura obbligata delle scuole a causa della pandemia ha aggravato l’insicurezza alimentare di bambini e bambine che vivono in contesti di particolare fragilità socioeconomica e per i quali l’unico pasto della giornata è quello consumato nella mensa della scuola. Con Missione Calcutta onlus sono stati individuati 9 istituti scolastici di 3 distretti delle aree rurali del Bengala Occidentale con la percentuale più alta di alunni provenienti da famiglie indigenti. Il progetto ha permesso di garantire 2 pasti al giorno a 2.520 bambini e ragazzi, dai 6 ai 14 anni, attraverso la distribuzione di derrate alimentari.

Operate con volontari locali?

Non ancora, però con Seva Kendra che ha una struttura di 50 stanze con bagno proprio per l’accoglienza, stiamo pensando di impiegare volontari provenienti anche dall’Italia che possano fare esperienza sul campo.

L’idea quindi è di aprire un dormitorio?

Sì. In India diversi anni fa eravamo già stati nel Kerala dove avevamo costruito e finanziato una fattoria autosostenibile con una stalla e dei campi per accogliere gli orfani che diventavano maggiorenni. Con i prodotti della terra è stato possibile garantire il sostentamento di cinque o sei famiglie che a loro volta hanno adottato altri orfani. Nel giro di due anni è diventata completamente autonoma a livello finanziario e in questo momento non c’è più bisogno di sostenerla economicamente. Cosa diversa è per il forno di Calcutta che è rivolto ai senza dimora. Le suore di Madre Teresa accompagnano queste persone, qualcuno si riesce anche a reinserirlo nella vita sociale e lavorativa, ma nella larghissima maggioranza dei casi siamo di fronte a situazioni di indigenza cronica estrema dalla quale è difficile uscire.

Le collaborazione con le suore concretamente come funziona? 

Le suore vengono tutti i giorni a prendere il cibo e il pane e lo portano in stazione. Arrivano con la loro ambulanza perché poi la loro missione è anche raccogliere le persone malate e portarle nel loro centro di accoglienza per gli ultimi.

Il progetto del forno come viene finanziato?

Attraverso aiuti di donatori privati. Il progetto copre le spese per lo stipendio di un fornaio e per l’acquisto delle materie prime. Teniamo presente che per dar da mangiare a mille persone in India ci vogliono 150 euro al giorno. I costi in India sono venti volte minori che in Italia per cui ovviamente con poco si riesce a fare tanto.

Questa esperienza potrebbe essere replicata anche in altre città indiane? 

Per il momento vogliamo concentrarci su Calcutta. Vorremmo allargare il nostro servizio anche in ambito sanitario perché a Calcutta veramente le persone muoiono per strada. La penultima volta che ci sono stato abbiamo trovato una ragazzina morta in strada, piena di polvere. Quasi il tassista non si voleva neppure fermare. Per noi è sconvolgente, ma a Calcutta vedere le persone che muoiono abbandonate in strada è una cosa ordinaria. Ci sono milioni di persone che sono di passaggio e non si riescono neanche a censire.

State pensando quindi ad aprire un ambulatorio?

Sì a un ambulatorio con una piccola ambulanza che giri e vada ad assistere con un medico le persone che vivono negli slum. C’è un nostro medico che lavora sei mesi a Milano con i pazienti post-acuti e gli altri sei mesi va a fare la volontaria in India, dedicandosi a uno slum. C’è veramente tantissimo da fare perché non hanno niente. In questo slum vivono addirittura di quanto la gente butta dai finestrini del treno. Una povertà assoluta.

Come è stata accolta la vostra presenza in questi primi mesi? 

Noi operiamo attraverso la Caritas di Calcutta perché gli occidentali in India non possono intervenire direttamente. Teniamo presente che le stesse suore di Madre Teresa non hanno un proprio conto corrente. Sono pochissime le organizzazioni cattoliche che possono operare in India.

(Piergiorgio Chiarini)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI