Giselda è una donna di quasi ottant’anni. Dico “donna”, pur sapendo che è anche una suora: una suora felicissima, tra l’altro. A colpirti, però, non è la sua spiritualità: la dai un po’ per scontata, essendo suora (anche se non tutte le suore e i preti hanno spiritualità!). A stregarti è la sua profondissima umanità. Quando la guardo mentre attraversa le navate ferrose e di cemento della nostra patria galera, mi sembra di intravedere – sotto quella sua tunica grigioazzurro – tutto quello che, da sempre, ho sottolineato leggendo le pagine dei Vangeli.
Non vanta chissà quali competenze, non ha dottorati: tutte cose che tendono a rendere maiuscoli i minuscoli come me. Lei, di sé, direbbe che è uno strofinaccio. O, tutt’al più, uno di quegli stracci che si usano quando l’acqua entra copiosa in cantina, nell’attesa che arrivi l’idraulico per la riparazione: assorbono, trattengono, si gonfiano, non si lamentano mai. Poi, una volta adoperati, li appendi allo stendino perché si asciughino (forse nemmeno questa delicatezza riservi loro!) e li rimetti nella cassapanca. Loro, gli stracci, non opporranno resistenza alcuna: saranno fieri di essere stati utili quand’è servito. È la “spiritualità dello straccio” di quel sant’uomo di Dio che fu don Luigi Orione. Il grande amico di Ignazio Silone.
A suor Giselda le mimose, se arriveranno, saranno in ritardo: la posta del cuore le ha già recapitato, in anticipo di qualche giorno, il “pensiero” più bello in occasione della festa della donna. Perché lei è una donna prima che essere una suora. La posta gliel’ha consegnata, in diretta e in presenza, Giuseppe, uno dei “nostri” ragazzi carcerati. Stava raccontando la sua vicenda – di più: stava presentando la sua testimonianza, la testimonianza di un novello “Caino” – ad un centinaio di ragazzi e ragazze seduti davanti a lui, nel teatro della galera. Lui ha ucciso: le sue mani di cartavetrata, hanno trapassato, come un aratro squarcia la terra, il corpo della donna amata. Lasciando i suoi bambini orfani di entrambi i genitori, pur avendo ancora il loro papà vivo.
Il suo gesto, gesto che mai si è perdonato, è diventata una prigione, la sua prigione: chi ha ancora una coscienza, dopo aver ucciso finirà quasi sempre a sopravvivere più che vivere. Mentre si racconta, ad un certo punto accende i riflettori su un particolare dalle dimensioni ciclopiche: “Nel momento delle tenebre più orrende, io ho incontrato suor Giselda – dice –. Per lei io non ero ‘Il Mostro’: mi ha preso la mano e non mi ha più mollato”. Eccolo, Archimede, il punto d’appoggio che cercavi per sollevare la terra: “Un giorno ho chiamato al telefono mia mamma e le ho detto: ‘Non ti arrabbiare, mamma, se ti dico una cosa: suor Giselda mi ha partorito una seconda volta’”.
Lei, Giselda, resta impassibile mentre il racconto entra come un bisturi nel silenzio della platea. Sul volto lei indossa l’impassibilità di chi, se volesse prendere la parola, direbbe: “Non ho fatto nulla di eccezionale, Giuseppe. Solo ti ho voluto bene da subito”. Rendere di una semplicità folle l’eroico è peculiare dei santi.
In galera, da noi, il prete può essere deriso, criticato, osteggiato, infamato, bistrattato. Se uno, però, si azzarda a dire solo qualcosa di suor Giselda, dovrà mettere in conto d’incontrare qualche sberla sulla sua faccia: “Nessuno tocchi la Giselda” è la minaccia di Radio Carcere. Non può esserci gelosia verso donne di siffatta statura: dovrai solo sederti a bordo strada, contemplarle all’opera, appuntarti un qualche pensiero per essere meno ignorante in amore. Dovrai farti alunno del loro udito materno: “Sai perché Giselda è una grande? – mi confida un giorno un uomo, possente come un armadio di ciliegio, che ha ucciso una donna –. Perché qui dentro tanti ti chiederanno ‘Come stai?’, ma pochi si fermeranno poi per ascoltare la tua risposta. Lei resta ad ascoltare”.
Chiedere a Caino: “Come stai?” è ammettere di aver tra le mani la bomba atomica che stritola e sgretola il male: la tenerezza. Con Caino, con i fratelli di Caino, per recuperarli varrà di più una carezza che uno scontatissimo: “Portate in piazza la vostra rabbia!”. La tenerezza, da queste parti, è una forma inaspettata di giustizia. È anche uno sport estremo, la tenerezza: e come in tutti gli sport che hanno a che fare con l’estremo, si dovranno calcolare dei fuoripista azzardati.
La Giselda è il cane segugio di Dio nella foresta oscura del nostro carcere. È una donna maiuscola: è così evidente da quanto piccola lei si sforza di apparire. Inabissandosi nel male dei “suoi” ragazzi: per poi inscenare al loro male una manifestazione di protesta. Contraria e letale: la protesta dell’amore.
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