Guerre: guerra lontana, guerra sociale nostrana e… bellezza come forma di resistenza. Il recente film Collateral Beauty, diretto da David Frankel, aveva una morale: in ogni evento, bello o brutto, quello che conta è l’imprevisto, una bellezza imprevista che sbuca dove non te lo aspetti e che cambia colore al grigio o al nero profondo che talora pesa sul cuore. Questa associazione mi ha portato a vedere una relazione di speranza tra gli stermini e i bombardamenti, le notizie di future pandemie, e… una libreria che apre in uno sperduto borgo toscano. Non è buonismo: è sopravvivenza, e vedo di spiegarlo.



Il brutto ci assale, lo sfruttano per carriere politiche su montagne di morti, lo cavalcano per avere consenso, per non far pensare ai guai veri. E non sembra esserci spazio per le piccole cose vere. Le piccole cose che sono il sale della vita e che la guerra offusca e vuole distruggere. Leonard Cohen, nella canzone Anthem, dice però una cosa diversa: “in ogni cosa c’è una frattura, ed è di lì che passa la luce”. La guerra (e l’indifferenza patologica che viviamo) lascia fratture, ma ci sono individui che vedono ancora della luce attraverso quelle fratture. Anzi in certi casi le fratture sono un paradossale invito alla vita. Noi pensiamo che la creatività fiorisca laddove tutto è bello e pronto per farla fiorire: una bella famiglia, una base economica, la pace sociale; invece vari studi e vari esempi di geni della storia mostrano che la genialità e la creatività hanno anche un’altra origine: la lotta per la sopravvivenza mentale.



Guccini cantava nel suo Don Chisciotte: “Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro/ perché il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro/ Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità,/ farmi umile e accettare che sia questa la realtà?”. Nell’arte del wabi-sabi giapponese la bellezza si mescola con le fratture degli oggetti, e il film Pleasantville (1988) tratta di un paesino dove tutti vivono una vita falsa ma apparentemente felice, ma ad un certo punto arriva qualcuno che porta una cosa nuova; il colore tra le macerie della guerra guerreggiata e della guerra dell’indifferenza sociale. Il mondo è un mondo in macerie, anzi, come scriveva Elio Vittorini, un “mondo offeso”.

Queste macerie, pur rese una poltiglia, hanno la dignità di chi aveva costruite e onorate le case, i luoghi, i centri, gli incontri poi distrutti. Alberto Burri volle far diventare le macerie di Gibellina, rasa al suolo dal terremoto del Belice, un’enorme opera d’arte a cielo aperto. Ad onore di chi vi era sepolto.

Giorni fa mi sono imbattuto in un segno. Nel centro di un paese della Berardenga, sperduto borgo del sud del Chianti, nella cui piazza centrale internet fatica, e laddove vedi una teoria di negozi chiusi da anni, hanno aperto… una libreria! Che è un paradosso, perché aprire una libreria oggi è lottare contro le multinazionali della consegna a casa che conosciamo, e farlo in un paese minuscolo che sembra in crisi è poco comprensibile. Eppure l’hanno fatto. Mi ci sono fiondato: e ho chiesto alla proprietaria: “Perché una libreria qui, che ha l’apparenza di un paese pulito ma decadente?”. E lei mi ha risposto: “Ma che vuol dire decadente?”. “Che chiudono quasi tutti i negozi”. “No, la decadenza è nello sguardo e qui non la vediamo”. Capite, non hanno aperto una sala giochi, non un negozio di tecnologia, ma una libreria; che però al buio della sala giochi e all’aridità della tecnologia contrappone il colore dei libri.

Ecco, una macchia di colore non resiste al grigio che avanza, ma lo giudica; da Guccini a Cohen, da Burri alla libreria nel Chianti dicono che sul grigio può nascere un fiore, e i vari bombaroli, come diceva Jaques Prevert, “uno alla volta se ne vanno”, la bellezza lascia una traccia. Poi potrà fare una fine diversa da quella che si aspettava. Ma ha lasciato una chiazza di colore nella mente di chi l’ha assaporata per un momento. Con una forza potenziale maggiore delle bombe di Gaza o di Bengasi, che col loro carico di morte resteranno sepolte nell’oblio (e nel sangue purtroppo), a differenza della dignità degli abitanti delle case e periferie da loro rese macerie, che vivono e vivranno onorati anche se sterminati. E a differenza di una piccola libreria in un mondo destinato forzatamente e violentemente al digitale. Anche questo è la resistenza.

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