Sostegno ufficiale da una parte, ma anche un’opera di convincimento dietro le quinte per fare in modo che la reazione all’attacco di Hamas non sia spropositata. L’atteggiamento dell’amministrazione Biden nei confronti di Israele, osserva Andrew Spannaus, giornalista americano fondatore di Transatlntico.info e autore del Podcast House of Spannaus, assomiglia molto a quello tenuto con l’Ucraina, appoggiata con tanto di invio di armi e dichiarazioni pubbliche di sostegno, ma anche consigliata informalmente di assumere una posizione meno intransigente, per spingerla a considerare la possibilità di un negoziato.



Gli Usa si stanno muovendo a 360 gradi nel panorama mediorientale, prova ne sia l’attivismo del segretario di Stato Antony Blinken, impegnato in una fitta girandola di contatti nelle capitali arabe: l’obiettivo è non allargare il conflitto, in particolare all’Iran, ma anche fare in modo di accreditarsi come mediatore mettendo da parte la Cina, che dopo aver favorito lo storico accordo tra Iran e Arabia Saudita mira a un ruolo da protagonista anche nel Medio Oriente.



D’altra parte anche la Russia vuole recitare la sua parte: Putin ha telefonato a Netanyahu dicendosi pronto a favorire una soluzione diplomatica. Mentre la Turchia con Erdogan vuole trattare per gli ostaggi in mano ad Hamas. Intanto prende corpo l’idea di un piano per gestire Gaza con la collaborazione della Lega araba e delle Nazioni Unite. Ma il problema, come per altri accordi firmati in Medio Oriente, è come fare in modo che le intese non valgano solo sulla carta.

I rapporti tra Netanyahu e Biden non erano idilliaci neanche prima dell’attacco di Hamas e ora il presidente americano ha preso le distanze da una possibile occupazione di Gaza. Qual è lo stato delle relazioni tra Usa e Israele?



Gli Stati Uniti pubblicamente fanno vedere che appoggiano Israele, anche inviando le portaerei, le armi, però non è nel loro interesse l’occupazione e la distruzione di Gaza. In America non ci si fida di Netanyahu, perché ha fatto tutto il contrario che cercare la pace, ma la strategia è di mostrarsi amici di Israele e poi fare pressione dietro le quinte. Il fatto che Biden abbia detto pubblicamente di essere contrario all’occupazione di Gaza può aumentare un po’ la pressione. Non so se il presidente Usa lo abbia fatto appositamente o meno: i giornalisti fanno domande e spesso le risposte non sono programmate.

L’affermazione degli Usa da una parte di voler sconfiggere definitivamente Hamas e dall’altra di evitare di occupare Gaza mette insieme due posizioni in contraddizione tra loro. È possibile in questo momento fare una cosa e non l’altra?

Sicuramente no. Però una cosa sono le dichiarazioni di principio, di sostegno e altra le effettive strategie che secondo gli Stati Uniti vanno messe in atto. Dal primo giorno Biden ha dichiarato che la risposta israeliana deve arrivare all’interno delle regole del diritto internazionale. E la Casa Bianca ha sottolineato di avere insistito su questo con Netanyahu. Per gli Usa distruggere Gaza ammazzando migliaia di civili o costringendoli a fuggire peggiorerebbe il problema. L’amministrazione Biden quindi da una parte dà il massimo appoggio pubblico a Israele, dall’altra lo vuole frenare. Mi ricorda lo stesso atteggiamento che ha con l’Ucraina: pubblicamente si promette un appoggio a Kiev contro la Russia fino a quando servirà, ma dietro le quinte si invita a cercare un’altra via d’uscita.

Hamas, però, non rappresenta tutti i palestinesi, c’è un’Autorità nazionale palestinese che, per quanto screditata, ha un suo ruolo: gli americani cercano una sponda con cui dialogare anche in Palestina?

Gli Usa hanno incontrato Abbas (Abu Mazen, nda) e l’Egitto, parlano con i Paesi arabi così come con l’Autorità palestinese. Stanno cercando un qualche tipo di dialogo tra le parti, che potrebbe portare a dialogare con Israele.

C’è un tentativo di isolare Hamas sul piano interno, palestinese?

Nel suo incontro con Abbas, Blinken ha sottolineato che Hamas non deve rappresentare le aspirazioni dei palestinesi.

In questo momento si parla ancora dell’occupazione o meno di Gaza, ma ci sarebbe anche un piano per la Striscia che prevederebbe un controllo sotto l’egida della Lega araba e dell’Onu. Almeno sulla carta è una soluzione credibile?

Intanto Israele vuole creare una zona cuscinetto intorno a Gaza. Un piano internazionale concordato in questa zona va sempre bene, il problema è che anche quando sono stati raggiunti degli accordi alla fine non sono stati attuati. Quello che dice l’Onu di Israele viene ignorato da decenni. Sarebbe certamente utile coinvolgere i grandi Stati della regione, anche se poi Israele dovrebbe accettare la situazione e cambiare atteggiamento. Hamas non vuole mettersi d’accordo con Israele che a sua volta, soprattutto con il Governo che c’è adesso, non ha nessuna intenzione di fare la pace.

Quanto temono gli Usa l’Iran e la sua volontà di recitare un ruolo egemonico nell’area oltre che la crescita dell’influenza della Cina, che si è ritagliata una parte da protagonista grazie alla mediazione esercitata per riavvicinare Iran e Arabia Saudita? Da Pechino, tra l’altro, sono arrivate dichiarazioni di sostegno alla causa palestinese: lo scontro tra i due colossi si gioca anche qui?

Nonostante alcune ricostruzioni giornalistiche dicano il contrario, come ad esempio quella del Wall Street Journal, la Casa Bianca continua a dire che non ci sono prove di un coinvolgimento diretto dell’Iran nell’attacco lanciato da Hamas: da una parte non vuole dare una scusa ad Israele per dare addosso a Teheran, dall’altra agli Stati Uniti interessa evitare l’allargamento del conflitto, agli Hezbollah, ad esempio, per evitare che si oltrepassi il punto oltre il quale scomparirebbe qualsiasi speranza di trovare una soluzione diplomatica. La posizione della Cina preoccupa gli Usa, soprattutto da quando è riuscita a mettere d’accordo Iran e Arabia. Ma gli Stati Uniti vogliono continuare sulla strada degli accordi di Abramo, portando l’Arabia Saudita a normalizzare i rapporti con Israele, ma anche a ridurre i rapporti con la Cina. Certo, gli accordi di Abramo mettono da parte la questione palestinese.

Gli accordi di Abramo sono un’eredità che Biden ha raccolto da Trump e ha continuato. Sono ancora un obiettivo dell’amministrazione americana?

Gli accordi sono stati firmati con Emirati Arabi, Bahrein, Marocco, ma l’obiettivo era di arrivare al pesce grosso, vale a dire l’Arabia Saudita. Rappresentano il successo di una certa visione che esisteva da tanti anni per isolare l’Iran e rimuovere la questione palestinese. Questi Paesi arabi si rifiutavano di riconoscere Israele, a meno che non si trovasse una soluzione della questione palestinese. Gli accordi di Abramo sono una sconfitta per la Palestina, ma a questo punto dobbiamo dire che, senza per questo giustificare Hamas, ignorare la questione palestinese non era realistico. Oggi sarà difficile portare avanti gli accordi iniziati da Trump: negli Stati Uniti, comunque, si spera ancora di poterli salvare.

I rapporti tra Usa e Israele, alla luce delle divergenze sulla riforma della giustizia voluta da Netanyahu e dal disaccordo sulla reazione all’attacco di Hamas, rischiano di arrivare a un punto di rottura?

La storia recente ci insegna che i rapporti possono peggiorare, ma che il sostegno Usa a Israele rimane. Netanyahu era ostile a Obama e quest’ultimo gli ha ricambiato il favore firmando un accordo con l’Iran (fino a quel momento embargato, nda) e sconfiggendo la lobby israeliana negli Usa. Gli Stati Uniti non si fidano di Netanyahu, ma nella politica americana è talmente radicato il sostegno a Israele che difficilmente si arriverà a una rottura.

Ma qual è il vero obiettivo degli Usa nell’area?

È quello di avere una regione più stabile, mantenendo un ruolo americano per garantire l’interesse del Paese nell’area e più alleati possibili. Il giro delle capitali di Blinken in questi giorni va in questa direzione.

Gli americani vogliono accreditarsi come mediatori per uscire dalla crisi?

Certo, bisogna vedere se risultano credibili per gli altri Paesi.

(Paolo Rossetti)

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