Nella città segreta di Hamas per difendersi dagli attacchi mirati degli israeliani. A Gaza l’organizzazione terroristica palestinese ha costruito un reticolo di cunicoli lungo centinaia di chilometri sottoterra, dove ha dislocato le sue sedi operative e le armi. E dove potrebbero essere reclusi anche gli ostaggi che vengono usati come scudi umani. Gli israeliani, che con le azioni mirate di questi giorni stanno iniziando a indebolire le strutture di Hamas per eliminare i loro responsabili e i capi, potrebbero stanare i miliziani allagando i tunnel e costringendoli quindi a uscire allo scoperto. L’invasione di terra, quindi, potrebbe anche lasciare il posto a un intervento più chirurgico che mira a ottenere lo stesso risultato: annientare Hamas.
Un’operazione in tre fasi: l’individuazione e lo smantellamento delle strutture, la distruzione della sede centrale e poi quella da un certo punto di vista più delicata e rischiosa: la liberazione degli ostaggi. Proprio gli ostaggi sarebbero stati al centro del colloquio avuto da esponenti di Hamas con il viceministro degli Esteri russo Galuzin. Una iniziativa, osserva Stefano Piazza, giornalista, scrittore, esperto di sicurezza e terrorismo, che potrebbe non piacere, però, a Pechino e finire per incrinare i rapporti tra i due colossi anti Usa.
Ogni giorno Israele annuncia di aver eliminato un esponente di spicco di Hamas, qualcuno con responsabilità operative all’interno dell’organizzazione. Cosa ha prodotto finora l’offensiva contro gli autori dell’attacco del 7 ottobre e come si sta sviluppando ancora?
Il fatto che Israele sia entrato nella Striscia con carri armati e uomini in questi ultimi giorni dimostra che c’è una strategia ben precisa, fatta di attacchi portati in questo modo per evitare un’azione di terra indiscriminata che provocherebbe molte vittime anche tra i soldati israeliani. Ecco perché preferisce attacchi mirati, mordi e fuggi, che hanno portato alla morte di almeno 200 miliziani di Hamas, compresi alcuni capi dell’organizzazione terroristica. Credo che insieme a questa ci saranno altre azioni mirate per colpire i tunnel sotterranei per esempio allagandoli, costringendo così le persone a uscire. Non credo, però, che ci sarà una vera e propria invasione su larga scala, perché provocherebbe molti problemi sul piano internazionale. Meglio interventi che evitino il più possibile di coinvolgere la popolazione civile.
I tunnel sotterranei realizzati da Hamas sono solo un reticolo per scappare oppure accolgono anche le loro basi operative?
Tutt’e due le cose. Ci sono reticoli lunghi centinaia di chilometri e anche basi sotterranee in alcune delle quali tengono i prigionieri, in altre ci sono i centri operativi e in altre ancora le armi e i missili. L’obiettivo allora potrebbe essere colpire nella Striscia con operazioni mirate per uccidere miliziani e capi e distruggere strutture e poi andare a liberare gli ostaggi.
Vuol dire che è stata realizzata una specie di città sotterranea?
Esatto. C’è una città in superficie e una città sotto.
Ma con queste operazioni non si rischia l’incolumità degli ostaggi?
Certo, non sappiamo dove siano questi 229 ostaggi. Una volta che l’esercito israeliano saprà dove sono saprà commisurare l’intervento. Di sicuro saranno disseminati in vari punti. Penso che Hamas non potrà liberare gli ostaggi, sono una sorta di assicurazione sulla vita: se li è portati dietro per rallentare l’operazione militare israeliana e ricavarne qualche vantaggio, liberandone magari un po’ ma tenendo la comunità internazionale sotto scacco.
Potrebbero usarli come scudi umani proprio per le loro basi?
Assolutamente sì, così come fanno con la loro popolazione: impediscono loro di lasciare la città con camion e altre strutture. Non gliene frega niente della popolazione civile, tanto meno degli ostaggi.
Qual è la strategia per arrivare a smantellare Hamas?
Questa guerra non finisce fra una settimana, durerà a lungo. Lo hanno detto anche gli israeliani: hanno tutto il tempo di mettere in atto le loro operazioni e poi, quando saranno arrivati al nucleo centrale, faranno quello che devono fare. La missione è distruggere Hamas: si prenderanno tutto il tempo e utilizzeranno tutti i metodi per farlo. Vogliono uccidere tutti i capi, da Mohammed Deif a tutti gli altri e annientare completamente l’organizzazione in termini persone e strutture. Ma nessuno si illuda che questa guerra duri un mese: durerà a lungo.
Per ora dobbiamo aspettarci l’indebolimento delle strutture del nemico?
Gli americani hanno chiesto cautela perché stanno schierando le loro difese in Medio Oriente: prima di fare grandi operazioni bisognerà coordinarsi con il maggiore alleato nella regione. Prima si cercherà di indebolire le strutture periferiche di Hamas per poi puntare al cuore dell’organizzazione.
Come è organizzata Hamas sul territorio?
C’è un comando centrale e poi ci sono le linee difensive, i comandi dislocati in vari punti di Gaza. Ha dei presidi territoriali, gli israeliani sanno dove sono, li colpiscono con i droni durante la notte, entrano e finiscono il lavoro con i carri armati e uomini delle forze speciali che bonificano il territorio. Avanzano piano con azioni mirate. Questo inizio è una fase 1, alla quale ne seguiranno altre due. Dopo gli attacchi mirati si procederà allo smantellamento del comando centrale e all’uccisione di tutti i leader militari di Hamas (lo hanno già fatto con il vicecapo dell’intelligence ma vogliono farlo anche con tutti gli altri). La fase 3, la più difficile e rischiosa, dovrebbe essere quella della liberazione degli ostaggi.
Hamas ha la possibilità di scamparla?
Hamas ha fatto un’operazione scellerata al di sopra delle proprie possibilità, creando le condizioni per annientare il movimento: è la stessa cosa che è successa ad Al Qaeda dopo l’11 settembre. Attaccando l’America Osama Bin Laden sancì la fine dell’organizzazione e lui diventò una figura iconica priva di qualsiasi potere.
Quanti sono i miliziani a disposizione dell’organizzazione?
Dicono di essere 30mila, ma mi sembrano stime ingigantite dalla propaganda palestinese. Credo che siano intorno ai 15-17mila operativi. Poi ci saranno la Jihad palestinese e altri gruppi, ma non penso che raggiungano veramente i 30mila.
Intanto anche la Russia ha fatto la sua mossa, incontrando Iran e Hamas: quali sono i rapporti con i palestinesi? Si spingono fino a una collaborazione militare?
Secondo alcuni rapporti di intelligence qualche mese fa nella Striscia di Gaza sono arrivati alcuni consiglieri militari russi. In questo caso Putin cavalca Hamas per indebolire gli Usa. Il suo obiettivo non è entrare nel conflitto. A lui degli ostaggi non interessa molto, nemmeno di quelli russi, che sono una trentina. Si sta creando un solco tra Occidente e Oriente. Iran e Russia schierati insieme con Hamas e noi dall’altra parte. Uno scenario drammatico. Non avrei mai pensato che Putin arrivasse a questo punto, ma è anche il segno della disperazione nella quale si trova. Cerca di sfruttare l’occasione per indebolire l’Occidente ma non fa altro che indebolire se stesso. Bisogna vedere cosa faranno i cinesi. Credo che questa iniziativa di incontrare Hamas a Mosca anche per Pechino sia davvero troppo. Lo sapremo il 14 novembre quando in America ci sarà un vertice fra Usa e Cina.
Il legame tra i russi e gli uomini di Hamas, comunque, per ora è in termini di consulenza militare?
Credo di sì, ma è un aspetto da approfondire: con i palestinesi hanno una lunga storia di collaborazione e adesso si sono schierati invitando Hamas. Hamas è come l’Isis, è come avere invitato Al Baghdadi (l’ex capo ora deceduto dell’autoproclamato Stato islamico, ndr) a Mosca.
(Paolo Rossetti)
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