La domanda sorge spontanea, l’unica possibile, l’unica onesta: che cosa difendiamo? Sorge anche prima dell’obbiettivo del contendere e cioè la Superlega che sta sconvolgendo, anche senza un progetto definito, la storia del calcio e dello sport europeo.

In attesa che le carte vengano svelate e partano le carte bollate (“ti faccio causa” un evergreen), sono partiti gli strali di quasi tutti i protagonisti dell’ambiente calcistico, dirigenti a vario livello, giornalisti, tifosi (con qualche distinguo di quelli delle squadre direttamente interessate), osservatori assortiti. Diciamo subito che della Superlega non se ne sentiva il bisogno, io almeno non ne sentivo il bisogno. Però vorrei porre l’accento sulla domanda, sull’essere, sull’essenziale.



Come dicono a Genova, usando la barzelletta della nonna, che qui non sto a raccontare, ma la cui sintesi è “ognuno c’ha la sua conveniensa”, qui chi non ha una convenienza scagli il primo pallone. Un gruppetto di club importanti, per permettersi i campioni (il costo del lavoro rappresenta il pozzo senza fondo nei bilanci calcistici) che fanno vincere e per superare questa crisi terribile – chi ha lo stipendio regolare a fine mese stenta a comprenderla -, hanno deciso di riunirsi in un campionato di cui non si conosce ancora bene la forma, ma di cui è chiara la sostanza: garantirà ai partecipanti i denari che permetteranno di continuare a scialare.



A morte i ricchi che mangiano brioche sui loro balconi, mentre i poveri muoiono di fame? È questo lo slogan? Il grido “allons enfants” echeggia per l’Europa e tra i più duri, non per niente, c’è il presidente francese Macron. Il quale vive a Parigi, dove il Psg di proprietà qatariota, ha pagato 222 milioni per comprare Neymar e 180 per Mbappé, cioè 400 milioni per due giocatori. Se la Superlega rappresenta i ricchi, questi che sono? Insomma, togliamoci dalla testa che sia una guerra ricchi-poveri. È una guerra di potere, anzi di poteri, è una guerra tra ricchi.

E quindi torniamo alla domanda iniziale: che cosa difendiamo? Difendiamo “il calcio italiano” in mano a Lotito e De Laurentiis che si sono alleati con Agnelli, Marotta e Scaroni (o Gazidis, se preferite) per affossare l’ingresso dei fondi nella Lega di Serie A o per portare il calcio sull’app di Dazn?



Il problema non sono i fondi, buoni e cattivi, o i diritti tv; il problema è che questa tutt’altro che santa alleanza è nata perché ognuno ha badato alla sua convenienza, senza curarsi del prossimo. Esattamente come i ricchi club europei su cui ora riversiamo il nostro odio di tifosi traditi, evocando una “poesia” del football di cui mi piacerebbe che qualcuno mi indicasse i versi, in questo squallore. Qui non ci sono onlus, istituzioni non profit. Che cosa volete? Che il calcio in Italia rotoli come sta facendo ora, senza idee e prospettive, litigioso e provinciale?

Questa polemica potrebbe risultare un’occasione di cambiamento o forse no. L’importante è che tutti noi che amiamo il calcio la poniamo, non per difendere l’esistente o qualcosa che non esiste, addirittura, ma per migliorare, il calcio e lo sport. Per andare al cuore, che è sempre il posto per cominciare qualcosa di nuovo.

Non pretendo una risposta, già la domanda sarebbe una conquista.

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