La torta di mele è razzista. No, non siamo noi a dirlo, bensì l’illustre testata giornalistica “The Guardian”, che ha etichettato così il tipico dolce, apprezzato in tutto il mondo. In particolare, è stato il giornalista Raj Patel a scrivere che il dessert non è nient’altro che l’espressione del trionfo del colonialismo e della schiavitù e che le sue origini sono profondamente intrise di sangue e sono americana, così come lo sono “la terra, la ricchezza e il lavoro che hanno rubato”. Questo perché le mele sono giunte nell’emisfero occidentale unitamente ai coloni nel XVI secolo dopo Cristo nel cosiddetto “scambio colombiano”, che Patel preferisce definire “un vasto genocidio di popolazioni indigene”.



In particolare, “i colonizzatori inglesi utilizzavano i meli come indicatori di civiltà, vale a dire di proprietà” nelle aree in cui si insediarono e John Chapman, meglio conosciuto come Johnny Appleseed, “ha portato questi segni di proprietà colonizzata alle frontiere dell’espansione statunitense, dove i suoi alberi simboleggiavano il fatto che le comunità indigene erano state estirpate”.



THE GUARDIAN: “LA TORTA DI MELE È RAZZISTA, ECCO PERCHÉ”

Il “Guardian” ha dunque definito razzista la torta di mele e nelle motivazioni connesse a tale affermazione il giornalista Raj Patel ha fatto riferimento anche allo zucchero presente sulla crosta del dolce, in quanto nel 1700 fu legato al commercio di schiavi francesi a New Orleans, sbarcando così negli Stati Uniti d’America. Addirittura, l’attenzione dell’autore dell’editoriale si sofferma sulla tovaglia a quadretti su cui solitamente viene lasciata raffreddare la torta di mele. Perché? Semplice, è di cotone, che i nativi americani indossavano già all’arrivo di Colombo nel 1492 e il cui commercio da parte dell’impero britannico è stato figlio del “capitalismo di guerra, schiavizzando e commettendo atti di genocidio contro milioni di indigeni nel Nord America e milioni di africani”. Insomma, per Patel “la storia del sistema alimentare statunitense è sempre stata, tuttavia, una storia di lotte. Giustizia alimentare è un termine comprensibile solo perché le comunità oppresse e sfruttate si sono organizzate per vendicarsi contro le predazioni del capitalismo statunitense”.

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