Caro direttore,
in fondo alla sua prima pagina di ieri il Corriere della Sera ha richiamato un’eulogia di Walter Veltroni in morte di Giampiero Boniperti; e un’intera pagina interna dedicata all’esclusione di Roberto Saviano dal premio letterario Ravello. Veltroni e Saviano sono due suoi collaboratori di punta. Il primo – noto tifoso juventino – si è specializzato in culto delle memorie nazional-popolari e politicamente corrette. L’autore di Gomorra – strappato pochi mesi fa a Repubblica – rappresenta per Urbano Cairo un investimento editoriale di primo livello, al di là del Corriere.
Inevitabile, tuttavia, che ieri la porzione di vetrina riservata ai due si sia ridotta a un pozzetto a fondo pagina: troppo forti i titoli di giornata, fra i quali la drammatica uccisione di un sindacalista dei Cobas della logistica davanti a un centro commerciale novarese. Una notizia su cui il Corriere ha fatto sicuramente il suo mestiere: ha raccontato la cronaca, ha approfondito molte delle questioni sollevate, ha espresso le sue prime opinioni.
Viene invece da chiedersi se il loro mestiere di grandi opinionisti lo abbiano fatto Veltroni e Saviano. Soprattutto il primo: che oggi ha come “primo mestiere” quello del letterato-cineasta prolifico e tuttologo, solo apparentemente lontano dagli anni in cui è stato il “primo vicepremier ex comunista” – con il primo Romano Prodi – e poi di segretario fondatore del Pd. È comunque lo stesso Veltroni che nel 2021 lascia correre volentieri il suo nome come possibile candidato per la Presidenza della Repubblica, fra pochi mesi. Sarebbe un presidente “super partes”, secondo i suoi fan. Certamente nella giornata di ieri è parso parecchio “sub partes”, voltando la testa dall’altra parte: verso la nostalgia della città-fabbrica dell’Avvocato, nei formidabili anni Cinquanta.
Eppure Novara è a meno di un’ora d’auto da Torino. Eppure i cancelli della Lidl, venerdì, assomigliavano molto a quelli di Mirafiori negli anni Ottanta: davanti ai quali Enrico Berlinguer combatté (e perse, forse consapevolmente e comunque con alta dignità) una delle sue ultime battaglie politico-sindacali. Eppure lo scontro fra i nuovi proletari della gig economy e i nuovi “padroni” della logistica, grandi e piccoli, è il centro simbolico di una crisi politica, economica e sociale su tutto il pianeta, da Amazon e Alibaba in giù. Lo è a maggior ragione, in Italia, quando il blocco dei licenziamenti sta per scadere e in parallelo decelera la politica dei sussidi d’emergenza per le piccole imprese.
L’altro ieri – faccia a faccia in un duello cui certamente nessuno dei due aveva mai pensato e che è finito invece nel più tragico dei modi – si sono ritrovati un sindacalista dei facchini precari e un camionista che andava e veniva dal Sud al Nord Italia per trasportare frutta. Quando Veltroni era direttore dell’Unità, come lo avrebbe chiamato: “conflitto di classe”? Oppure avrebbe scritto che entrambi i protagonisti della tragedia di Biandrate erano, in modo diverso, “italiani da riscattare”? Suggerendo magari “qualcosa di sinistra” da fare subito, magari per entrambi i “poveri in guerra fra loro”. Nei giorni degli Europei di calcio, il primo leader del Pd ha invece trovato più comodo versar lacrime su un calciatore pagato già settant’anni fa molte decine di volte più di un operaio Fiat. Uno che aveva come motto: “Vincere è l’unica cosa che conta”. Vincere in gennaio la lotteria del Quirinale, raccogliendo i voti di Pd e M5s “ma anche” quelli di FI e Lega?
Veniva da Caserta, il 25enne camionista arrestato. Veniva dalla Gomorraland su cui Saviano ha costruito il suo mito mediatico planetario e multimilionario. Ma ormai, vista dal suo attico di Manhattan, per lo scrittore la Campania non è più evidentemente la “terra dei fuochi”, bensì Ravello: il dorato buen retiro dei miliardari americani e non, sull’esclusiva collina sopra Amalfi e Positano. Per la loro “delizia estiva” da anni qui viene organizzato un classico festival di serate musicali, cinematografiche, letterarie. Lo finanzia anche la Regione Calabria e il governatore (Pd) Vincenzo De Luca ha decretato via social: “Ciò che finanzia la Regione Campania non deve essere un’occasione per promuovere relazioni personali o per passare le ferie a spese della Regione”.
“Scorretto” e divisivo come sempre, il governatore campano non ha però mostrato esitazioni a “sporcarsi la bocca”: come sempre, di nuovo anche su Saviano, secondo De Luca un serial killer dell’immagine campana. È rimasto invece in silenzio il Pd nazionale: così come anche M5s. Sinistra da salotto e sinistra popolar-populista – così come “partito di Letta” e “partito di Conte” – non riescono proprio a “far coalizione” (salvo – pare – che in Calabria: sul nome di un’imprenditrice di un gruppo né “digitale” né “ecologico”, ma grande appaltatore di lavori ferroviari).
Saviano, dal canto suo, ha preferito chiudere l’incidente-Ravello con un un tweet molto nonchalant: “Nessun problema don Viciè, non ci sarò”. Ci hanno pensato altri – a cominciare dal presidente della Fondazione Ravello, Antonio Scurati, subito polemico dimissionario – a conquistare allo scrittore nuovi spazi in pagina di pura immagine narrativa. Erano spazi che – in passato – Saviano dedicava non solo alla causa generale della legalità e della promozione sociale nel Paese, ma anche a quella particolare dei migranti. E chi era se non un immigrato dal Nord Africa Adil Belakhdim, il sindacalista ucciso a Biandrate? Certamente non andava in vacanza a Ravello. Dove, fra qualche anno, Saviano forse presenterà un romanzo ispirato eccetera. Qualcuno ne farà subito un film e magari ci scapperà un Oscar di quelli che ogni decennio vengono dati a una pellicola italiana washed nel neo-realismo del dopoguerra: di cui Veltroni è sommo custode Cinecittadino. Sarà più facile, naturalmente, se nel frattempo sarà riuscito a installarsi al Quirinale. Ma l’Italia del 2021 – si sarebbe chiesto dall’America dem di Saviano John Kennedy, primo mito post-comunista di Veltroni – è ancora disposta a comprare questa “sinistra usata”?
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