Oltre che per la mitica spada laser, il vostro vecchio maestro Jedi non può nascondere di nutrire grandi simpatie per le storie medioevali, e in particolare per l’epopea del Carroccio. Così, sabato 3 ottobre si è imbucato alla prima di Barbarossa, mescolandosi – grazie a una cotta di maglia di ferro e a un elmo – alle comparse vestite da guerrieri che accoglievano gli ospiti in un cortile del Castello Sforzesco di Milano.



Raramente si è visto alla prima di un film un parterre così significativo: Berlusconi, Bossi, Tremonti, Maroni, Larussa, Formigoni, Moratti, Calderoli, Castelli, oltre a tutta la nomenclatura leghista di ogni ordine e grado, e i vertici della Rai coinvolti nell’operazione: dalla consigliera Bianchi Clerici, al vicedirettore generale Marano, ai responsabili di RaiCinema, RaiFiction, RaiTrade.



Venerdì il film esce nelle sale, ma se dobbiamo basarci su quello che abbiamo visto e soprattutto sui pochi e tiepidi applausi di circostanza di un pubblico che avrebbe dovuto essere entusiasta per definizione, non scommetteremmo un euro sul suo successo. A meno che il popolo leghista non ci vada in massa per la curiosità di vedere (per pochi secondi) Bossi nelle vesti di un nobile padano.

Sorprende innanzitutto l’autodefinizione di “kolossal”, perché tale non è. Anzi, le inquadrature quasi sempre strette, secondo noi non per scelta stilistica – ma per non essere obbligati a usare troppi cavalli e troppe comparse – lo fa assomigliare a uno dei primi sceneggiati della Rai di fine anni cinquanta. Se ci aggiungiamo quella che invece è stata decantata come una precisa scelta stilistica – colori lividi e plumbei – l’impressione generale è di povertà e tristezza. Persino le desolate lande rumene non rendono giustizia al paesaggio lodigiano o piacentino, che nel medioevo dovevano essere ancora più belle e rutilanti di verzura di oggi.



Già da queste prime annotazioni si comprende perché, alla fine della proiezione, il commento di Bossi sia stato un assai deludente e sincero «Bello, ma alla fine avevo freddo…». E perché Maroni – di cui si conosce la sensibilità artistica – non abbia nemmeno voluto dire mezza parola. E perché Formigoni si sia trincerato dietro «è una bellissima storia». Soltanto Castelli – ma, si sa, è un ingegnere – ha osato lamentarsi perché a rappresentare l’Italia fosse stato designato Baarìa invece di Barbarossa (sic!).

 

Da simpatizzanti per la “bellissima storia” che avrebbe potuto essere un gran film, dopo pochi minuti siamo stati delusi da una sceneggiatura scombiccherata e zoppicante, da attori – salvo Rutger Hauer nei panni di Barbarossa, Cecile Cassel nei panni dell’imperatrice e Kasia Smutniak in quelli della moglie di Alberto da Giussano – totalmente spaesati e fuori ruolo, Raz Degan in testa. Il tutto condito da una regia scolastica continuamente travolta da un imperdonabile abuso di effetti speciali audio e video e da una colonna sonora che era una assai modesta imitazione di quella del Gladiatore. Quando per l’ennesima volta una nuova scena iniziava con uno squillante nitrito, un potente scalpitare di cavalli – che sulla scena erano poi quasi sempre tre o quattro – e un crescendo orchestrale tonitruante, cominciavamo a domandarci se non stessero per caso proiettando una copia con evidenti errori di montaggio. E poiché tra un nitrito e l’altro gli eventi si susseguivano senza un legame coerente, anche i più ben disposti spettatori leghisti cominciavano a dimenarsi sulle sedie, nell’attesa che succedesse qualcosa. E invece niente, salvo forse 5 minuti alla fine. Che non giustificano, anzi gridano vendetta di fronte ai 20 milioni di euro spesi dalla Rai e dal Ministero dei beni culturali per un sedicente kolossal (dei poveri).

Ma come, verrebbe da dire – e soprattutto a quelli che hanno come noi in simpatia alcune istanze padane – dopo tanto urlare contro Roma ladrona, una volta occupati i giusti posti di potere (dal Governo alla Rai), i discendenti di Alberto da Giussano si mettono a sperperare il denaro pubblico in operazioni culturali di così bassa lega? (il gioco di parole è voluto).

Se questo poi dovrebbe costituire il prodromo dell’estetica leghista cinematografico-televisiva, stiamo proprio messi male. Come non essere quindi d’accordo con quanto

Scrive Luca Mastrantonio, responsabile cultura e spettacoli de Il Riformista?

«Il kolossal leghista di Martinelli è un fotoromanzo bellico anti Roma ladrona, con una sceneggiatura peggio di Unomattina…». I Padani che si aspettavano il loro “Braveheart”, si accontenteranno di un prodotto da History Channel e Telepadania? Come la prenderanno i leghisti disoccupati a sapere che 20 milioni, molti dei quali statali, sono stati buttati via così? E poi, scusate, Martinelli ha girato in Romania dove c’è lo “zingarume” rom a basso costo, parole sue. Non era meglio far lavorare comparse padane? Al rinfresco un Antonio Scurati più spaesato che mai si dispiace, sinceramente, per questa incredibile occasione persa di produrre una narrazione epica. Scurati, cultore delle storie patrie-milanesi, si dice «dispiaciuto soprattutto per Bossi, lui in quelle cose ci crede, è stato lì in prima fila, per tre ore, ma sicuramente gli avrà fatto schifo». Questo non lo sappiamo, né possiamo dirlo. Sappiamo però che, alla fine, “ha avuto freddo”. Solo per una serata d’autunno?