Interessato com’è al rapporto tra società e tv, il vostro vecchio jedi s’è inchiodato per quattro sere davanti alla tv, per vedere anche lui il Festival di Sanremo. Unico conforto, un bel gatto caldo in grembo e il poter seguire anche una chat ricca di spunti organizzata per gli internauti da “Ilsussidiario”. Visto che vi hanno partecipato molti utenti di età assai diverse, si è potuto registrare meglio le idee che stava maturando.
Dal punto di vista del marketing televisivo è stata fatta un’operazione colossale (qualcuno l’ha paragonata al riuscire a rimettere in moto un tir a mani nude…) e infatti gli ascolti sono stati altissimi, provocando bollettini di vittoria anche un po’ imbarazzanti dal Direttore Generale della Rai uscente. Come è stato possibile?
Coscienti del fatto che la crisi sta tenendo in casa, pure un po’ preoccupata, un sacco di gente, la task force gestita da Bonolis ha fatto trapelare per tempo le notizie di possibili scandali (la canzone di Povia che sarebbe stata commentata in sala dal presidente dell’Arcigay), una presenza (virtuale) di Mina che è stata anche una maxi-promozione del suo nuovo disco, la partecipazione di Benigni con la sua vis comico/polemica, capace di catturare sia i fan che i detrattori per la curiosità di quanto avrebbe detto. A questo si sono aggiunte ad ogni inizio di serata delle contaminazioni sul tema della musica seria davvero “furbe” e ben fatte. Mescolando spezzoni di film famosi (come ad esempio il momento tratto da “Amadeus” della dettatura del Dies Irae a Salieri che si è fuso in un famoso pezzo dei Pink Floyd suonato dall’orchestra) si è cercato di “far digerire” al pubblico più polare e più giovane momenti di musica cosiddetta seria. Va detto che l’espediente ha funzionato, anche perché invece del solito Baudo entusiasta di presentarsi ancora una volta al pubblico a Sanremo, di sorpresa ci si trovava davanti a grandi pezzi di cinema di Forman o di Fellini, mixati con ottimi arrangiamenti orchestrali. (Poca spesa/molta resa, si potrebbe anche dire…). Già tutti i giornalisti specializzati hanno sottolineato che è stato fatto ogni sforzo possibile per raggiungere e vellicare ogni tipo di pubblico, mescolando siparietti alla Ciao Darwin, momenti semiseri e iniziative sociali commoventi. Ottime scenografia, fotografia, regia, ci mancherebbe…(con i quasi 1.300 milioni di euro di canone e 1.200 di pubblicità, come potremmo accettare che non sapessero usare bene telecamere e microfoni?). Ritmata e serrata la conduzione di Bonolis, con alcuni gravi difetti che anticipiamo solo in parte: un abuso costante degli aggettivi “straordinario” “eccellente in assoluto” anche quando si trattava di cantantucoli o di un altro prodotto di marketing sapientemente costruito come Allevi, furbetto neo-mix di Uri Caine e Rachmaninoff, già ampiamente stracciato da Uto Ughi (come si merita) sulle colonne de La Stampa. E poi, questa terribile inflessione romanesca accettabile in Proietti ma non in un bravo presentatore che parla a tutto il paese, per dirla con Frassica, e la tendenza a infilare ad ogni occasione possibile qualche crassa allusione a organi sessuali maschili e femminili. Per altri particolari rimandiamo ai critici specializzati, che – ohibò – quasi all’unisono si sono però domandati dove fosse la musica. Già: ma non si trattava del Festival? Anche la formula della gara è stata cambiata, introducendo anche una serata discretamente godibile con le giovani proposte accompagnate dai loro padrini musicali e altri musicisti. Bella la commemorazione di De Andrè con PFM riunita sul palco, davvero emozionante la partecipazioni di Annie Lennox…che inevitabilmente ha fatto toccare con mano cosa è veramente straordinario e cosa, invece stra-ordinario. E infatti i brani presentati erano complessivamente assai modesti, tutti costruiti a base di ripetizioni, rifacimenti, rimasticature di pezzi già sentiti, ma con meno originalità. Cantanti di vaglia che stonavano perché non ce la fanno più, giovani che cantavano anche bene melodie insulse o strauguali a mille altre. Anche la vittoria delle giovani proposte, l’unica che è parsa a tutti meritata, è stata frutto di un’operazione di marketing accuratissima, sia nel tema musicale che nel look della giovane Arisa: unica melodia davvero orecchiabile del Festival, un reperto di modernariato anni 50, così come gli occhialoni alla Clark Kent e la rossa bocca a cuore. Davvero incomprensibile la vittoria di Marco Carta (nella classifica on-line de Ilsussidiario risultava ultimo, con zero virgola, come in molte altre chat) con tutti che urlavano allo scandalo, visto che è stato lanciato da “Amici”, e Maria De Filippi è andata al Festival gratis con l’opportunità di premiare il suo cantante e accreditare Amici come l’unico futuro laboratorio musicale. Il che sta gettando in preoccupato sconforto i produttori tradizionali. Scrive infatti su La Stampa Alessandra Comazzi: “
«Con la vittoria di Carta e la presenza all’ultima serata di Maria De Filippi …il cerchio ha tutta l’aria di chiudersi sull’onda della “combine” anche per i meno malpensanti». Chissà se Striscia, che ha denunciato che il televoto è facilmente taroccabile pagando, ne parlerà ancora o meno.
La domanda conclusiva è quale Italia ci rimanda questo Festival, quale paese ci rimanda questa tv. La risposta è come sempre amara: il maggior critico televisivo italiano, Aldo Grasso, parla sul Corriere di “ Bonolis come re della paraculaggine” e del suo impresario «Lucio Presta, come il vero vincitore, che ha saputo piazzare tutta la sua scuderia, strappando lauti compensi». Quindi il regno dei furbi, anche se con buone idee di marketing, che sono riusciti a occupare l’occupabile, salvando l’audience per lo spettacolo, ma dimenticando serenamente la gara canora e la qualità della musica. Per non parlare delle montagne di relativismo diffuse tramite metamessaggi, quelli davvero pericolosi: la presenza ritenuta politically correct di Grillini per contestare Povia – il cui testo non era nemmeno anti-gay – , l’ottuagenario direttore di Playboy presentato come grande uomo di cultura con a fianco ben tre fidanzate ventenni, la lettura da parte di Benigni di una lettera di Oscar Wilde per poter sostenere che non esiste differenza tra amore etero e omo, il costante affermare da parte di Bonolis che qualunque opinione ha lo stesso valore…(e l’ha dovuto però ripetere a bocca storta quando Remo Girone ha letto con intensità la lettera indirizzata al Festival da Michele Serra, nella quale il columnist di Repubblica rimprovera alla tv di distribuire solo “merda” – l’ha ripetuto 7 volte! – “invece della cioccolata.”).
La dimostrazione è che non si può usare l’aggettivo straordinario sia per Annie Lennox che per Marco Carta: c’è troppo che non torna. E io me ne torno per un po’ nella mia galassia: la mia caverna almeno è profumata di muschio e funghi di montagna.