Ballarò comincia con una sventagliata di cartelli che riportano cifre da paura: l’aumento dei tassi a debito sui titoli italiani sia a breve che a lungo termine annullerà ogni manovra fatta finora. Floris dice subito che tutto questo succede, Grecia a parte, perché i mercati non hanno creduto alla lettera di intenti di Berlusconi. Si susseguono poi le notizie di riunioni di ministri, interventi del capo dello Stato, telefonate tra leader internazionali… ma ci si ferma, perché come al solito, irrompe la pubblicità. Non dopo aver annunciato che Camusso, Bernini, Di Pietro e Lupi sono pronti ad azzannarsi in studio. Crozza ride e fa ridere a amaro. D’altro canto non vorremmo essere al suo posto in questi momenti terribili. Unico bel passaggio, quando ricorda che Giorgio Gori, anche lui firmatario del manifesto alla Leopolda, è proprio quello che ha portato in Italia molti reality, contribuendo significativamente a spappolarci il cervello.

Nei servizi successivi si mostra Berlusconi che ride sempre a 32 denti, che racconta barzellette convinto che servano – è una sua teoria pubblicamente espressa – a sconfiggere il pessimismo. Giusto per far esplodere la Bernini, si mettono a confronto le frasi in libertà di Berlusconi a una convention in cui si lamentò dell’esistenza dell’Euro, con le piazze piene di manifestanti e i commenti spaventati degli analisti. Luigi Abete sostiene che in Italia non ci si sta rendendo conto della gravità della situazione, e che di fatto si sta temporeggiando senza fare nulla di quello che si dovrebbe: riforma delle pensioni, patrimoniale per i più ricchi, privatizzazioni, riduzione delle spese. La leader della Cgil Camusso concorda con l’ex-presidente di Confindustria (ohibò) e spiega che da oggi in poi tutto sarà ancora più difficile. Eroicamente la Bernini prova a sostenere che invece il Governo ha fatto tutto quello che si doveva fare, e a questo punto Abete congiunge le mani come a dire: ”Ma che dici!”. Così inizia il primo battibecco.

Vaciago, da freddo e analitico economista, con il suo solito lucido aplomb, sostiene che di fatto la lettera tanto discussa non esiste, perché non esiste nemmeno sul sito del governo. E poi è stata firmata solo da Silvio Berlusconi, non impegnando il Governo nel suo complesso. Mentre la lettera dell’Europa l’hanno firmata in 27. Spiega quindi che i mercati puniscono l’Italia semplicemente perché non vi trovano un governo capace di rispondere se non con promesse troppo vaghe. Facendo appello alle sue tecniche di comunicatore televisivo consumato, Lupi svia l’attenzione severa di Vaciago sul Governo, ricominciando con la solita tecnica dell’affermare che il problema è un altro e comunque non riguarda solo l’Italia. E in più attacca Abete, chiamandolo corresponsabile della crescita del debito pubblico. Abete reagisce al limiti dell’infarto strabuzzando gli occhi è dicendogli “ma lei è fuori…”, così questo tentativo di sviare le critiche genera un altro battibecco. Alle 22:20, se Lupi e la Bernini continueranno a battere sui soliti tasti, Yoda ha l’impressione che prima o poi in studio scorrerà il sangue. Rutelli ha buon gioco nel dire che arrivando in trasmissione scommetteva con se stesso sulle solite tiritere che avrebbe sentito dai governativi. Invoca poi un governo di salute pubblica, ma al solo pensiero che anche lui ne faccia parte, al vostro vecchio Yoda, che oramai ne ha viste di ogni colore, viene un attacco di depressione.

A Pigi Battista del Corriere tocca rispondere sulla credibilità di Berlusconi. Ricorda che è il New York Times ad aver scritto che la credibilità di Berlusconi è un problema oggettivo per l’Europa intera. Ottimo assist per Floris che manda subito in onda il servizio in cui si riportano titoli di giornali internazionali, tg e programmi di intrattenimento, con le prese in giro di Forza gnocca (in francese “Allez minette”, ne abbiamo imparato una nuova!) e dei bunga bunga party. Più seriamente Battista, quando riprende, ricorda che ci sono articoli non citati nei quali si sottolinea che è vero che il problema è Berlusconi, ma anche che non c’è una alternativa in Italia che sia credibile. E infatti domanda retoricamente alla Camusso se una volta sostituito Berlusconi, sarebbe contenta di un governo che attuasse la macelleria sociale che l’Europa ci chiede.

Pacato e lucido, Vaciago si domanda: come ha fatto la Spagna, che stava peggio di noi, a rimontare così tanto da superarci? E si risponde: si è impegnata prima a onorare il debito, e poi a fare il resto. Annunciando anche un cambio di governo e di maggioranza. E teme che avendo traccheggiato così tanto, se anche andasse via Berlusconi, sarà dura convincere i mercati a cambiare idea sulle capacità di riprendersi del Bel Paese. Un servizio mostra che in realtà si è già cominciato a tagliare nella Pubblica amministrazione, riducendo straordinari e applicando mobilità, creando già molti problemi, mentre se si facesse ciò che l’Europa ci chiede, altro che riduzione degli straordinari! Rutelli sostiene, rispondendo a Vaciago, che in effetti non ce la può fare da solo un governo delle sinistre, ma un governo di salute pubblica con dentro tutti.

Grande agitarsi sulla sedia di Lupi e Bernini. E quando riacchiappa il microfono, la Bernini cerca di convincere tutti, in studio e a casa, che il Governo invece ha già fatto un sacco di cose. E che una grande coalizione litigherebbe su tutto, come per esempio è avvenuto sulle missioni all’estero. Sulle cose da fare, Abete dice secco secco: patrimoniale e pensioni. La Camusso è d’accordo con la patrimoniale e omette le pensioni. Abete insiste che con la patrimoniale che ha in mente lui si dovrebbero ridurre le tasse alle imprese, e con un bello slogan ricorda che il problema è come si usano i soldi, non come si prendono.

In un servizio Scajola sembra sfilarsi dall’impasse governativa, confermando a chiare lettere che Berlusconi è al tramonto, e che forse è proprio il caso di affrontare una transizione che ci faccia uscire dall’agonia. Lupi comincia a parlare di responsabilità riproponendo l’importanza del confronto, del dialogo, ma Floris gli ricorda che al di là di tutti questi discorsi alati, nella realtà non si sono fatte cose per tre anni e si continua a promettere di farle in pochi mesi. Di Pietro non si dice contrario agli interventi anche difficili, ma chiarisce che secondo lui bisogna prima chiedere ai ricchi, far rientrare i soldi dalla Svizzera, colpire gli evasori, chiudere le province, tagliare la casta. Così si ricomincia da capo, perché alla fine anche lui ha le sue litanie.

Al professor Vaciago tocca il compito di riportare un po’ di serietà nel dibattito. Secondo lui, Trichet ha spinto per dare una ultima chance all’Italia in cambio degli impegni richiesti nella famosa lettera. Ma di fatto quella lettera è rimasta senza risposta: troppe intenzioni troppo vaghe, troppe promesse già fatte e mai mantenute. A proposito di cose fatte, dopo la pubblicità, va in onda un servizio sul ponte di Messina. Così si scopre che il gestore del Ponte ha già speso 280 milioni di euro per un ponte che probabilmente non si farà, e che nel 2002 avrebbe dovuto costare 4,5 milioni di euro, mentre ora il preventivo parla di oltre 8 milioni. Ma è troppo imbarazzante parlare del ponte, progetto oggettivamente indifendibile secondo Abete. Così il vecchio leone si dimostra forse il più lucido dei presenti.

Battista interviene pacatamente in mezzo a continue interruzioni di Di Pietro, al quale ricorda che non si possono fare solo alcune delle cose richieste dalla Bce. La Bernini incredibilmente difende il ponte a oltranza, parlando di corridoi Berlino-Palermo e suscitando proteste e ilarità. Rutelli ricorda che la Bce continua a comprare titoli italiani, e per questo occorre aderire alle sue richieste. Alla fine tocca di nuovo a Lupi, che riprende il discorso della responsabilità e del confronto, ma ha poco tempo e così oggettivamente i suoi riferimenti risultano ancora una volta troppo generici.

Complessivamente una trasmissione che poteva essere interessante, soprattutto per gli interventi di Abete e Vaciago, ma che proprio per la tipologia degli invitati si è ben presto trasformata nel solito combattimento di galli. Un’altra occasione persa a insultarsi reciprocamente, evitando cocciutamente di riconoscere gli errori, ponte di Messina in testa.