Quest’anno il vostro vecchio Yoda non c’è l’ha fatta proprio a seguire il Festival di Sanremo in diretta, così ha approfittato di qualche spazio durante le giornate della kermesse per vedersi le parti salienti e anche qualche mozzicone di serata, grazie all’ottimo servizio di Rai.tv e a un po’ di chicche ripescate su YouTube.
Oramai è del tutto inutile fare la critica di Sanremo: più che una trasmissione tv è un rito nazionale, che sopravvive con alterne fortune di audience ad autori, scenografi, presentatori, ospiti.
Il presentatore di turno cerca di dare ogni volta la sua impronta a quello che rimane uno spettacolo con invitai di cosiddetto prestigio, un po’ di comici, balletti, durante il quale si svolge anche una gara canora. E durante il quale si impongono immancabilmente agli italiani le facce dei dirigentoni Rai di turno seduti in prima fila a farsi ammirare.
Quale merito abbiano non si capisce, anche perché a prescindere da loro – quest’anno bisognerebbe dire “nonostante loro” – ogni tanto si riesce pure a fare un boom di ascolti. È il caso di Benigni, che alla fine del suo intervento è stato capace di raccogliere oltre il 66% di audience, con punti di quasi 20 milioni di telespettatori.
Grandissima la sua esegesi dell’Inno di Mameli, grandissima perché pur essendo colta era comprensibile da tutti, e quindi davvero popolare. Poche le battute sull’attualità politica, ma proprio per questo davvero dirompenti. Sparate senza dare l’aria di volerle fare, quasi fosse il contesto a imporle. Splendido il richiamo a Bossi e figlio per le loro distrazioni nella sintassi, pungenti le allusioni alle telefonate di censura. Impagabili le facce dei cosiddetti manager in prima fila: verdi, viola, blu, perché costretti ad applaudire a denti stretti un ospite a causa del quale avrebbero senz’altro ricevuto notevoli reprimende da chi dovere.
E su questo vogliamo fare la prima osservazione: il clima nel paese è tale, che Mazzi (Direttore artistico del Festival) e Mazza (Direttore di Raiuno), pur essendo uomini di stretta osservanza ex-finiana (non è infrequente incontrarli in ristoranti romani con Gasparri e La Russa), hanno dovuto ricorrere a un idolo della sinistra come Benigni per rilanciare il Festival, così come hanno dovuto-voluto rimettersi all’autorità di un senatore della canzone come Morandi che si dice abbia invitato lui Vecchioni, anche lui militante di sinistra. E hanno pure dovuto ingoiare il secondo posto della vincitrice di Amici che ha manifestato in piazza per la dignità delle donne.
In sala non s’è visto Marano, vicedirettore generale della Rai per l’area editoriale di stretta osservanza leghista…forse avrà pensato che era meglio sottrarsi ai riflettori facendo infilzare altri, soprattutto quando il cantautore beniamino della Lega, Van de Sfroos, ha avuto la bella pensata di intonare Viva l’Italia…
Gran bel paradosso il festival dei sessant’anni e dei centocinquanta anni dell’Unità d’Italia: sbancato da Benigni, vinto da Vecchioni con un bel testo sulla notte della Repubblica (di cui ogni riferimento alla realtà risulta puramente voluto!) e, nella categoria giovani da un musicista jazz dalla voce incerta ma dalle conoscenze musicali assai solide, certamente assai di più di quelle che Allevi sembra avere nella classica…Il che è merito della sempre indomita Caterina Caselli, perennemente alla caccia di talenti veri, pur dovendosi muovere in un mercato musicale sempre più asfittico. A differenza delle multinazionali del disco, la Sugar infatti continua a investire risorse in promesse in grado di mantenere, e non in copie di copie di copie di quello che ha già funzionato. Brava Caterina.
Per il resto, il solito baraccone, che l’eterno ragazzo Morandi ha cercato di condurre con umile dignità. Certamente non aiutato dai testi: ma come si fa a fare certe domande (erano davvero scritte!!!) a De Niro e alla Bellucci? E De Niro, giustamente s’è annoiato, mettendo pure in difficoltà la Canalis, che evidentemente ha mentito a tutti sulla sua dimestichezza con la lingua inglese.
A proposito, che dire delle due vallette? Si proprio vallette, scelte sicuramente per le loro doti sexy in grado di acchiappare i pensionati oltre i sessantacinque che costituiscono lo zoccolo duro del pubblico di Raiuno. Vestite quasi sempre in maniera improbabile: Belèn, che sembrava aver saccheggiato il magazzino costumi di Ben Hur, Canalis, che nell’ultima serata sembrava aver strappato all’ultimo momento un tendaggio dorato dal soffitto del Casinò. Hanno cantato – così così, ma almeno senza stonare, e – ahimè – ballato.
Scenografia a metà tra una catena di montaggio e un film di fantascienza, come si addice ad un baraccone televisivo del 2011, ma nato negli anni Cinquanta.
Gli addetti ai lavori usano dire che la Rai è la metafora del paese, le cui sorti anticipa puntualmente di qualche mese. Vedendo Sanremo s’è vista un’azienda di Servizio Pubblico con poche idee, che ha dovuto farsi prestare i comici di punta dalla concorrenza, che ha speso un po’ di soldi per vallette poco vestite e ospiti passati come meteore, che ha dovuto ricorre ad un idolo della sinistra per fare il pieno di ascolti e celebrare degnamente l’Unità d’Italia. E il cui pubblico ha premiato una canzone che invita ribellarsi allo status quo. Che vorrà dire?