Annozero comincia con Santoro che mescola subito tutto: Mills, Ruby, il processo breve, i morti di Viareggio e dell’Aquila, dicendo una cosa assolutamente vera: sono sempre meno quelli che ci capiscono qualcosa. Così come sulla faccenda dei clandestini o rifugiati.

Il dibattito viene lanciato da un servizio con Maroni che denuncia la chiusura e l’egoismo dei paesi d’Europa nei confronti dell’Italia. E con dei cittadini francesi che fin troppo chiaramente spiegano il significato di quell’”arrangiatevi” rivolto all’Italia.



Bonino, già Commissario europeo, sostiene, anche se si aspettava una qualche proposta di soluzione dalla Commissione, che l’Italia non dovrebbe lamentarsi più di tanto, visto che a fronte di 61.000 immigrati nello stivale, ce ne sono 232.000 in Francia, 688.000 in Germania, 251.000 in Inghilterra.

Cota denuncia anche lui il fatto che l’Europa si occupa solo di salvataggi di paesi indebitati con le banche tedesche e francesi o della lunghezza dei cetrioli, ma non si sforza di individuare un qualsiasi progetto su come affrontare il grave problema dell’immigrazione nel suo complesso.



Si snodano le testimonianze dei disperati che hanno tentato la traversata o che ci hanno provato più volte.

E così Vendola può sfoderare tutto il suo fascinoso stile affabulatorio, parlando del Mediterraneo come di un cimitero liquido o di un muro d’acqua che crollando ci ha messo a contatto con un’enorme domanda di pane e libertà  alla quale stiamo rispondendo con la paura dell’orda che rischia di sommergerci.  Non senza ragione si domanda come mai la Protezione Civile, che ha gestito i summit dei capi di Stato e i viaggi del Papa, non sia stata immediatamente tirata in ballo per affrontare il problema dei 25.000 immigrati che non sono poi così tanti. 



Giulia Innocenzi introduce Boris Bignasca, figlio del Bossi ticinese che ha vinto le elezioni nel loro Cantone. Il giovanotto, presentato come un duro delle montagne, parla invece di flussi, di numeri accettabili di immigrati da accogliere, raccogliendo la condivisione della Bonino che dice, anche lei con una buona parte di ragione: “Già affermare che il fenomeno va governato invece di dire  semplicemente “fora di ball” è un grande passo avanti”.

Ruotolo intervista ribelli, sopravvissuti alle carceri di Gheddafi, e così la Bonino può facilmente spiegare che ogni rivoluzione non si risolve in una passeggiata, e che se oggi la confusione regna sovrana è per una debolezza complessiva causata da una mancanza di visione e dall’emergere di singoli egoismi.

Un’immigrata regolarizzata da tempo dotata di una non indifferente capacità dialettica, ricorda che la Tunisia accoglie 500.000 persone organizzandosi con la mezzaluna rossa, mentre l’Italia si lamenta solo per 25.000, l’Italia che ha tollerato come tutti gli altri paesi che l’Africa ex-coloniale e non, diventasse preda di vari dittatori.

Travaglio mostra tutte le incongruenze e le contraddizioni della legge sul processo breve, domandandosi – non senza ragione – come mai si è bloccato il Parlamento per settimane se davvero, come ha detto Alfano, la faccenda riguarda solo lo zero virgola dei casi.

Vendola non ha tutti i torti quando afferma che non basta ordinare ai giudici di essere più celeri, occorre invece dargli le risorse e i mezzi per lavorare.

Cota ribadisce che è un fatto di organizzazione: a Torino i magistrati hanno creato un piano di recupero dell’arretrato che sta funzionando e quindi se si volesse si potrebbe stare entro i limiti della prescrizione. Persino Porro del Giornale, però, riconosce che questa legge ha come primo beneficiario Berlusconi.

Uno studente tunisino ribelle ricorda che l’Italia ha mandato 20 milioni di emigranti nel mondo, e che i disperati che scappano dal nordafrica sono frutto del sostegno che l’Europa, Italia inclusa, ha sempre dato a Mubarak, Ben Alì e Gheddafi. Ricorda inoltre che molti  di quelli che arrivano in Italia con la speranza di andare soprattutto in Francia sono laureati, dottorandi, tecnici che cercano soltanto quell’opportunità che gli italiani a suo tempo cercarono in America.

Si chiude con qualche mezzo sorriso provocato da Vauro una trasmissione non malvagia, pacata, dove si è cercato meno del solito  di inseguire lo scoop per lo scoop, e dove si è capito che il problema è di portata storica e richiede una riflessione ben più ampia da parte di tutti.

Alla prossima.