Affonda subito il coltello nella piaga, Santoro. Racconta che Dell’Utri, appena prosciolto in Cassazione, lavorava per Rapisarda, noto frequentatore di mafiosi. E che in quegli uffici è poi stata aperta la prima sede di Forza Italia. Dopo aver dato fin dal primo minuto fuoco alle polveri, presenta una ricostruzione che con disegni e narrazioni interpretate da attori, intervallate da interventi del Procuratore Lari, che afferma a chiare lettere esserci stata senza ombra di dubbio una scellerata trattativa Stato-mafia, e in base alla quale si sostiene che Borsellino fu ucciso perché vi si opponeva.
In studio c’è Veltroni, che appassionato com’è di cinema, ripercorre come un giallo le vicende dei delitti, delle stragi e degli attentati riusciti e mancati, ponendo una serie di inquietanti interrogativi, tra cui quello con il carico da undici: perché la mafia smette di proseguire negli attentati appena Berlusconi scende in politica?
In collegamento da New York, il procuratore Ingroia sostiene che la verità su tutto quanto stenta a venire fuori perché ètroppo imbarazzante per lo Stato. Aggiunge che questa verità deve essere pretesa dal paese e non solo dai giudici: la sua preoccupazione è che molta parte del paese ha preferito che su questa verità si tacesse.
Sempre più assomigliante ad Abramo Lincoln, l’ex ministro Martelli ricorda che Conso si è assunto autonomamente la responsabilità di ammorbidire il carcere duro per seicento mafiosi da lui precedentemente stabilito, e che ci fu una riunione con Mancino, Parisi e Nicolò Amato proprio per discutere dell’abolizione o della diminuzione del famoso 41-bis. Inoltre ricorda di aver più volte parlato con Mancino di iniziative da prendere, riscontrando la richiesta di attendere per approfondire.
Tutto fila come in uno sceneggiato di Nero Wolfe: la materia è incandescente, Santoro la gestisce con notevole maestria, senza forzare i toni e facendo crescere lentamente la suspence.
“Mi uccideranno, mi ucciderà la mafia quando altri lo consentiranno”. Questo il folgorante ricordo di quanto detto dal marito riferito da Agnese Borsellino, che oggettivamente appare lucidissima a dispetto chi ne dubita.
Ingroia fa notare che appena le indagini cominciarono a salire di livello, Falcone e Borsellino furono derubricati a “sceriffi”, che allora significava giustizialisti, a dimostrazione che i magistrati vanno bene quando si occupano d’altro o solo di mafia militare. Ricorda inoltre che in carcere per condanne definitive per concorso esterno in associazione mafiosa, ci sono andati colletti bianchi e mezze figure, anche perché ogni volta che si sfioravano figure più importanti si è sempre scatenato il putiferio.
Sottolinea che la sentenza della Corte di Cassazione non assolve Dell’Utri, ma lo rimanda come nel Monopoli indietro alla prima condanna a nove anni, chiedendo di rifare il processo: giusto per mettere i puntini sulle i a quanti sostengono che Dell’Utri è stato del tutto riabilitato.
Interpellato sulla questione del concorso esterno alla Mafia, Veltroni precisa che la Mafia alligna proprio perché protetta e agevolata da diversi livelli della società con la quale si trova a collaborare scambiandoci favori.
Secondo Veltroni, dopo l’abolizione del 41 bis, gli attentati avrebbero dovuto finire. Invece non fu così, il che significa che qualcun altro aveva interesse a creare tensione. In più, sostiene che da allora in poi è come se vivessimo nel Truman Show (ecco la passione del cinema che ritorna) con qualcuno che ci ha sistematicamente mentito su tante cose.
Martelli ipotizza una tesi ulteriormente inquietante: che una parte che lui definisce “centrale della politica” abbia voluto eliminare le punte estreme di governo e mafia (Martelli, Scotti, Riina), per riprendere serenamente con il vecchio tran tran di connivenze.
Il fratello di Borsellino sostiene apertamente che attentati come quello di via dei Georgofili non sono assolutamente riconducibili alla mentalità mafiosa.
Scoop: si intervista il figlio di Provenzano, che risponde – a parere di Yoda – da perfetto mafioso, dicendo e non dicendo.
Chiede sostanzialmente che suo padre sia curato con dignità, anche se si chiama Provenzano, visto che sta dimostrando gravi segni di decadimento neurologico.
Travaglio, con la sua solita puntigliosità, fa notare che fra tanti procuratori il processo Dell’Utri è finito, dopo aver dormito 13 mesi, proprio a quello che si era più volte scagliato contro la nozione di concorso esterno ed è l’allievo prediletto del giudice Carnevale, più noto per il nomignolo di giudice ammazzasentenze.
Chiarisce con molti argomenti che la Cassazione non giudica nel merito, e poi annullando con rinvio per vizio di motivazione vuol dire che la motivazione è viziata, non che il giudizio è errato.
Ricorda che il famoso “stalliere” Mangano fu assunto da Berlusconi dopo una riunione con i vertici di Cosa Nostra, e che i giudici di Appello lo hanno ritenuto una vera e propria cerniera con la criminalità organizzata.
Una imprenditrice di Palermo, Valeria Grasso, che ha tentato di opporsi al pagamento del pizzo, racconta le sue peripezie con la mafia e tutte le minacce ricevute. Dopo aver seguito la trasmissione afferma di capire ora perché lo Stato sia assente. Sull’intervista del giovane Provenzano, Ingroia sostiene che lo Stato stia rispettando alla lettera la legge. E fa notare come abbia rappresentato alla perfezione quello che definisce l’atteggiamento di famiglia…
Anche Veltroni ritiene che il figlio di Provenzano abbia lanciato messaggi trasversali minacciosi, mentre il fratello di Borsellino sostiene che ancora oggi nello Stato c’è chi favorisce direttamente o indirettamente la mafia. Martelli si spinge oltre, nell’affermare che analizzando accuratamente il suo linguaggio, il figlio di Provenzano impersona il nuovo volto di una mafia che si pone al di sopra di tutto.
Ciancimino, intervistato da Ruotolo che cerca di farlo parlare, si dimostra ambiguo e sgusciante come suo solito.
Ingroia conclude dicendo che secondo lui c’è sempre un gran desiderio di tregua tra mafia e stato.
Alla fine Martelli si domanda chi si occupa di bloccare la mafia che minaccia persone come Valeria Grasso per la quale la Procura ha fatto richiesta di protezione da un anno ma nessuno dal Ministero è ancora intervenuto.
Per una volta Santoro ha fatto una trasmissione tesa come un giallo, asciutta, senza sbavature né esagerazione. Una vera trasmissione da Servizio Pubblico.
Ma non avrebbe potuto, dato il tema, fare a meno di Vauro? La dimostrazione è che gli applausi sono timidi e nessuno riesce a ridere, tantomeno Santoro, che s’è visto rovinare così un programma riuscitissimo.