Appena sintonizzatosi su Servizio pubblico, al vostro vecchio Yoda è sembrato di essere tornato ai tempi in cui, quando stava in America, guardava alla tv i predicatori invasati, restando colpito dalla loro capacità di caricarsi, emozionarsi e inveire. Santoro ha iniziato scatenando tutta la sua indignazione per il mancato salvataggio di oltre 90 immigrati. Dal servizio iniziale (uno sfottò a quelli che fino all’ultimo momento avevano giurato sulla sfiducia al governo) si capisce che la puntata è stata costruita per commentare gli ultimi avvenimenti politici, data anche la presenza in studio del gladiator maximus, il direttore del Giornale Sallusti. Fortunatamente in studio c’è anche il ministro Mauro, assai capace di usare parole misurate e rispettose di tanta dignità offesa.
Intervistata in diretta da Ruotolo, la sindaca di Lampedusa invoca l’appoggio dell’Europa, perché in questo caso si tratta di profughi con diritto di asilo e non di immigrati clandestini. Inoltre, ritiene la legge Bossi-Fini corresponsabile della paura che impedisce a molti pescatori di uscire con i pescherecci a soccorrere i disgraziati. Mauro concorda sul fatto che oramai la questione dell’immigrazione interroga l’intera Europa. Ma passato il momento dell’indignazione, Santoro si precipita sull’osso che aveva preparato da spolpare, vale a dire sulla faccenda della fiducia a sorpresa data da Berlusconi al governo Letta. E affida a Travaglio il compito di tirare le fila dell’intera faccenda. Controcorrente come al solito, Travaglio sostiene che Berlusconi non è affatto finito, e che potrebbe continuare, sia pure con meno forza di prima, a far ballare la rumba al Governo Letta, visto che oltretutto i suoi ministri non sono più così tanto “suoi”.
L’onorevole Moretti, bella e intelligente – e certamente invitata in trasmissione per questi motivi – esegue con puntualità la partitura del Pd. Più originale Sallusti, che arriva a ipotizzare un complotto di Europa e America per mettere in definitiva difficoltà Berlusconi. Più semplicemente Mauro fa rilevare i motivi per i quali il Governo andava responsabilmente salvato, non importa quali siano stati tutti i possibili retroscena. Poi improvvisamente sembra di essere davanti a Ballarò: al posto di Pagnoncelli appare un nuovo sondaggista, Antonio Noto, con i soliti cartelli con i numeri di chi voterebbe chi se si votasse oggi… Ahi, ahi, chi si immaginava che Santoro avrebbe commesso una simile scivolata di omologazione nei confronti di Floris, Vespa, Mentana?
La trasmissione riprende il volo quando il populismo di Vauro si infrange contro le lucide e oneste risposte di Mauro sul perché si devono acquistare gli F35. Ma Santoro e Travaglio vanno in soccorso del vignettista impedendo a Mauro di concludere i suoi ragionamenti e mettere definitivamente al tappeto il “pacifista da salotto”, come giustamente il ministro lo ha definito. Poi il programma si perde in tanti piccoli rivoli minori, e lo sbadiglio è in agguato, a dimostrazione del fatto che Santoro sa fare tv solo quando può cavalcare emozioni forti. Paradossalmente, l’emozione forte della nuova tragedia di Lampedusa non è bastata, perché non c’era granché da ricamarci intorno.
Alla fine, dopo che l’economista Dragoni ha mostrato le oscillazioni positive delle aziende di Berlusconi quotate in Borsa, Travaglio strappa l’applauso nell’affermare che la novità di questi giorni è costituita dal fatto che per la prima volta il Cavaliere, invece che in conflitto di interessi, si è trovato in conflitto con i propri interessi: se faceva cadere il governo rovinava le sue aziende, se non lo faceva cadere accelerava la sua fine. Come sempre, Travaglio si rivela come battutista sempre meglio di Vauro, che Yoda decide di non commentare più vista la crescente modestia delle sue vignette.
Trasmissione altalenante, in cui Santoro ha spesso rivestito i panni del tribuno della plebe, e il Ministro Mario Mauro ha potuto mettere in mostra notevoli virtù civili e grande capacità di dire con chiarezza e semplicità cose serie in un talk show dove si invitano gli ospiti soprattutto per farli litigare.