Inizia Sanremo. Il vostro Yoda lo guarda per la vecchia amicizia con Ilsussidiario, se era per lui avrebbe fatto altro. Guarda che caso, non appena Fazio comincia il suo monologo sulla bellezza, ecco il primo colpo di scena: due persone minacciano di gettarsi da un ponteggio dietro il palco se non viene letta una loro lettera. Così Fazio, dopo l’interruzione dei senza-lavoro, che oramai irrompono e straripano da talk-show e programmi di ogni genere, ha la prima occasione per farci un pistolotto sul fatto che agli uomini di spettacolo compete fare spettacolo, e a ciascuno, in questi momenti compete di cercare di far bene il proprio lavoro. Poi legge la lettera dei due, sicuro che basterà a farli desistere. Sarà tutto vero? A Yoda viene in mente l’episodio di Pippo Baudo che impedì a un tizio di buttarsi dalla balconata. Non si sa ancora se era una sceneggiata o no. Gli rimarrà il dubbio anche per stasera.
Inizio di una certa magia con Ligabue che canta Creuza de ma di Fabrizio de Andrè, accompagnato al solo bouzouki dall’autore della musica Mauro Pagani, che è anche direttore artistico del Festival. Non senza che Fabio sia sceso prima in sala a stringere la mano a Dori Ghezzi, visto che oggi sarebbe stato pure il compleanno di Fabrizio. Fazio sbrodola subito esagerando nei complimenti a Ligabue (“straordinario, fantastico davvero, non era facile”), che ha rifatto pari pari la canzone originale con il controcanto di Pagani.
Entra la Litizzetto in mezzo a un balletto in stile Broadway, accompagnata da una serie di ballerine con dei notevoli lati “b” strizzati in culottes assai succinte. E paradossalmente, lei che si dice femminista, non risparmia battute pesanti sul fatto che non si sa se “ci sono state “ alle avances degli elettricisti dietro le quinte. Il giusto prologo per la solita sempre più usurata gag tra i due, con lei sempre al limite della volgarità (cercando, ad esempio, la rima con Gualazzi o con Baglioni, o eleganti accostamenti tra trombare e trombato) e lui che fa finta di moderarla. Già Yoda non ne può più, e infatti è tanto tempo che anche per questo non guarda più “Che tempo che fa”.
Inizia la gara canora, con l’innovazione di due canzoni a testa: Tocca ad Arisa: carina, vocetta intonata dalla limitatissima estensione, finita la seconda canzone ci si accorge di non poter distinguere l’una dell’altra. Per Yoda 6–. Si capisce dall’ingresso di Tito Stagno che ci sarà una parata di personaggi vari a comunicare i verdetti del televoto. Dalle battute da trivio che Luciana sfodera agitando il davanzale messo in mostra da apposito push-up, si capisce cosa intendono alla Rai per mescolanza di alto e basso. Anche Frankie HI-NRG, nonostante il nome, vola bassino, con due rap che passano come l’acqua sul vetro.
Scende dalle scale Laetitia Casta, accolta da una serie di volgarità e doppi sensi della Litizzetto, (e pensare che la pagano 300.000 euro!). Molto ben truccata e un po’ allargata, la Casta deve recitare le modestissime battute e partecipare con Fazio a un drammatico duetto canoro, drammatico perché entrambi sono in realtà stonati e imbarazzati. Interrompe la Litizzetto con altre eleganti battute del tipo del tipo “Tanto non te la dà, tu n’as pas de coeur, tu as de cul…eccetera”. La Casta si spoglia più che può, il balletto imita un Moulin Rouge di periferia, Fazio e Laetitia ci infliggono un altro duetto. A Yoda viene da pensare che questa sembra proprio la metafora dell’italietta di Renzi: tutta un vorrei ma non posso.
Dopo la pubblicità (molto più bella del programma, con gli spot insolitamente lunghi e spettacolari di I-Pad Air e Procter & Gamble), tocca a una gloria della canzone italiana, Antonella Ruggiero, che Luciana definisce incredibilmente “molto gnocca”. Roba da non credere, anche perché la Ruggiero è infardellata in una giacchettona nera tutt’altro che sexy. Specie nella seconda canzone sfodera i vocalizzi tipici della sua cifra musicale, un pezzo gradevole ma non particolarmente memorabile. Yoda non capisce perché si fa televotare una canzone alla volta: non era meglio farle ascoltare entrambe e poi far scegliere? Mah!. Luciana legge delle domande al pallanuotista cubano che deve annunciare il televoto…ma chi le ha scritto i testi? Quasi peggio delle sue grasse battute estemporanee.
Tocca a Raphael Gualazzi, altro mistero della musica italiana. Accompagnato da un bel coro quasi gospel ci fa l’imitazione di un po’ di soul all’italiana. Ray Charles si rivolta nella tomba, visto che è palese l’intenzione di imitarlo. Mentre la flebile e inesistente voce di Gualazzi intona la seconda canzone (che senza coro sarebbe proprio niente di niente) Yoda deve dire qualcosa sulla scenografia: il tanto decantato salone di musica si riduce a due modeste quinte pittate come un teatro di periferia, anzi di oratorio con pochi mezzi. Con l’orchestra sparsa e appollaiata su diverse balconate. A pronunciare il verdetto del televoto, Fazio invita il Prof. Naldini, esperto di terapia genica; due domandine sull’importanza della ricerca, e lettura del verdetto: fine del momento alto. Poi viene il momento più trash della serata: la Carrà inguainata e vestita come Madonna, con una imbarazzante pancetta e lasciamo stare il resto, che cerca di imitare le pose sguaiate di Madonna con effetti semplicemente grotteschi. Va in scena lo spettacolo più triste: non saper invecchiare pensando di essere eternamente giovani. Sarebbe stato meglio una sobria intervista, mostrando i video di repertorio della Carrà e del tuca-tuca con Sordi…
Intervista senza alcun interesse, noia, noia e noia, se la raccontano tra loro evocando episodi senza alcuna importanza né interesse, finché entra la Litizzetto inguainata in un vecchio costume della Carrà, che per stare nella linea della trasmissione, dice “finalmente possiamo ammirare il bel sederino della Litizzetto”. Appaiono sul grande schermo in alto le immagini della Carrà di una volta, mentre Litizzetto e Carrà cantano “Fatalità”. Il confronto è impietoso, e Fazio ha il coraggio di esclamare “Sanremo continua, guarda che entusiasmo…”.
Tocca a Cristiano De Andrè che rifà suo padre, che era molto meglio, almeno a parere di Yoda. Se uno in gamba come Maurizio Pagani ha selezionato le canzoni sentite finora, vuol dire che in giro c’è ben poco. L’Italia dei “vorrei ma non posso” dilaga oramai anche nella musica. Tutte le auliche dichiarazioni sulla bellezza che ci sono state ammannite nei giorni scorsi e anche stasera restano solo intenzioni. Fazio annuncia i Perturbazione dicendo che quando li hanno sentiti nelle audizioni sono rimasti affascinati: ecco, dopo che li abbiamo sentiti noi, abbiamo capito tutto.
Passa Gramellini e ci ammolla un pistolottino sulla creatività. Ma finalmente arriva Cat Stevens, e finalmente un po’ di musica vera. Yoda era giovane ai tempi del suo intramontabile “Tea for Tillerman”, e sinceramente le canzoni di allora erano meglio. Standing ovation del pubblico, tutto in piedi, forse un po’ esagerato. Intervista con domande che vogliono sembrare intelligenti, risposte semplici di Cat. Ed ecco il brivido vero, quando canta la famosissima “Father and son”. Magia pura, madeleine e amarcord, ma che non c’entra niente con il Festival di Sanremo, la sua musica modesta, i suoi testi mediocri e inutilmente scollacciati.
Passa Giusy Ferreri, e Yoda non se ne accorge. Si accorge invece che nel tg in mezzo al festival non si dà alcuna notizia dei gravi incidenti a Kiev. Per non interrompere un’emozione? Per non perdere l’audience che andrebbe sui canali di all-news? Mah, questo è il servizio pubblico! Meno male che Giusy Ferreri era l’ultima concorrente.
A Yoda la prima serata di Sanremo è sembrata sinceramente fiacca, pesante la struttura (due canzoni per cantanti, un presentatore per ogni verdetto), modesti i testi, sempre più insopportabili e uguali a se stessi Litizzetto e Fazio, sgradevoli soprattutto le volgarità gratuite di Luciana.
Ecco la bellezza secondo il Servizio Pubblico dell’era Renzi. Auguri, Yoda le altre serate non ci sarà, la prima gli è bastata.