Ma è mai possibile che tutte le volte che il vostro vecchio Yoda si interessa di cosa succede in Italia dalla quale manca da tanto sia costretto a stropicciarsi per lo stupore gli occhi cisposi? Oggi si tratta dell’Auditel. Il sistema di rilevazione degli ascolti televisivi su cui sono stati scritti fiumi di parole, su cui sono stati riversati mari di critiche, ma che resiste – o ha resistito – da trent’anni. Spiegato in forma semplice, si tratta di un metodo di rilevazione applicato a un campione di famiglie rappresentativo della popolazione italiana. “Per gli italiani l’Auditel rappresenta da sempre una sorta di ‘mistero della fede’ della televisione italiana: su quel sistema si reggono dagli anni Ottanta i palinsesti delle reti pubbliche e private e, soprattutto, gli introiti pubblicitari” (L’Unità). 

L’intero metodo si basa sulla consegna di uno speciale telecomando che le famiglie selezionate – che devono rimanere rigorosamente segrete – si impegnano a usare indicando ogni volta chi sta vedendo che cosa. I limiti del sistema sono stati più volte indicati: non si è così certi che il telecomando venga usato, potrebbe accadere che rimanga acceso quando nella stanza non c’è nessuno, potrebbe essere usato a casaccio. Ma le aziende, gli editori e le agenzie che tengono in piedi l’Auditel lo hanno sempre difeso sostenendo che se ci sono errori valgono per tutti, e quindi alla fine non contano. I più maliziosi hanno sostenuto che il campione è stato tarato per difendere il duopolio Rai-Mediaset: la Rai vincerebbe sempre in termini assoluti, mentre Mediaset vincerebbe sempre sul target commerciale. Tradotto in soldoni, la Rai raccoglierebbe più teste (soprattutto anziani) e Mediaset più consumatori giovani, assai più appetibili per la pubblicità. Nonostante le critiche, il sistema viene da sempre preso per buono dalle aziende che lo usano per spendere quasi 4 miliardi di euro all’anno. 

Finché non è successo un grosso patatrac, e le rilevazioni sono state sospese per 15 giorni e forse di più. Scrive il Messaggero: “Un black out di due settimane nella diffusione dei dati, che saranno resi noti soltanto alle emittenti, e l’azzeramento completo del campione. È la duplice soluzione decisa dal cda di Auditel per far fronte al momento forse più nero della sua storia, dopo l’errore dell’invio di una e-mail a più famiglie contemporaneamente che ha violato la segretezza assoluta del panel, uno dei baluardi sui quali si è affidata da sempre la società di rilevazione degli ascolti. Ma se critici tv e appassionati di sfide all’ultimo decimale di share si preparano a 14 lunghi giorni di astinenza, e gli sponsor dell’Upa parlano di ‘soluzione prudente, responsabile, trasparente’, Mediaset stigmatizza il ‘vuoto grave’ e chiede che la pausa non superi le due settimane, altrimenti cercherà ‘ogni possibile soluzione’ che dia certezze a un mercato che nei primi otto mesi del 2015 vale 2,2 miliardi di investimenti pubblicitari”. 

Siamo così all’inizio di una guerra che potrebbe finire come quella di Audiradio, analogo sistema di rilevazione degli ascolti radiofonici. Disaccordi e problemi economici hanno portato alla sua chiusura, e cosa è successo? Nulla. Ogni radio si fa le proprie ricerche e le divulga, e le radio non sono morte, anzi, perché è partita pure una gara nel fare ricerche sempre più sofisticate. Il comunicato di Mediaset sembra già accennare a questa soluzione. 

Mentre quasi tutti i giornali continuano a raccontare che il problema è consistito sulla divulgazione dei nominativi del campione, solo Wired (la rivista specializzata in internet e nuovi media) cala il carico da undici: “Questo pasticciaccio ci permette però di dire, una volta per tutte, che l’Auditel così come è oggi, anche con l’aumento del campione statistico, rimane uno strumento di rilevazione vecchio, inutile e dannoso, non solo per i programmi tv, ma anche per la pubblicità”. Spiegando che un italiano su tre guarda la tv su mezzi non rilevati dall’Auditel, che oggi i telespettatori seguono più mezzi contemporaneamente, e che quello che conta, anche e soprattutto per la pubblicità, non sono le teste che stanno davanti alla tv, ma l’attenzione con cui ci stanno. Come ha ben spiegato al Corriere Mario Abis, presidente della società di ricerche Makno, “c’è una grossa differenza tra un ascoltatore che guarda una trasmissione mentre gioca coi figli e uno che davanti allo schermo twitta le sue reazioni. In quest’ultimo caso l’effetto si moltiplica“. Ohhh, questo è il punto! Il dramma non è tanto che il campione sia noto, ma che il metodo di rilevazione si riveli del tutto obsoleto di fronte ai mutati comportamenti dei telespettatori anche grazie allo sviluppo dell’informatica. Ma allora perché le aziende che investono in pubblicità si ostinano a usare e difendere un metodo che Wired definisce vecchio inutile e dannoso? 

Yoda ricorda che molti anni fa, negli Stati Uniti fu presentato un semplice oggettino che risolveva tutti i problemi del mancato o errato uso del telecomando speciale: ogni membro della famiglia veniva dotato di un orologio da polso che trasmetteva al meter l’identità di chi c’era nella stanza, per quanto tempo era presente e quale canale stava guardando. Pare che chi osò proporre di importarlo anche in Italia sia stato minacciato di linciaggio. Una risposta maliziosa qualcuno la dà: oltre a difendere il duopolio, il sistema fornisce dati così grossolani (soprattutto rispetto al nuovo contesto) che per raggiungere i loro risultati le aziende devono spendere grandi somme. Per spiegarlo semplicemente, significa che per colpire ogni uccellino occorre sparare cartucce molto grosse, capaci di creare una rosa così grande di pallini da garantire il raggiungimento del bersaglio. Così le tv fanno soldi, e la pubblicità efficace se la possono permettere solo i grandi investitori usando un sistema assai poco efficiente. E pensare che su internet oramai è possibile “profilare” chi ti guarda, sapendo cosa fa dopo averti guardato e se ha diffuso ad altri cosa ha visto…Ma verso questi metodi dal “sistema” c’è grande freddezza, addirittura si sostiene che non si hanno dati certi. Già, con quello che hanno dichiarato alcune famiglie del campione al Corriere e ad altri giornali, sarebbero forse più certi i dati Auditel? 

Yoda continua a stropicciarsi gli occhi leggendo il comunicato del CdA dell’Auditel: “La società continuerà nella rilevazione dati, riservandoli alle emittenti. Nei prossimi mesi verrà completamente sostituito l’attuale campione, che sarà allargato a 15.600 famiglie. Auditel userà questo periodo per approfondire gli aspetti metodologici con un’accurata serie di verifiche a tutela dell’impegno di trasparenza e affidabilità“. Roba da non credere: possibile che il Gotha delle imprese che investono in pubblicità ritenga che la soluzione sia ampliare un campione che rileva dati assai poco utili nel nuovo contesto? Stanco di stropicciarsi gli occhi, a Yoda cascano anche le braccia: se questa classe dirigente si rivela capace di vivere soprattutto grazie alle rendite di posizione, la fine dell’Auditel – che si annuncia come quella di Audiradio – comporterà un gran bel terremoto per tutta l’industria della comunicazione. Chissà. Forse non sarà nemmeno un male. Certo è che da quassù, Yoda si godrà al sicuro nella sua caverna le esplosioni e i fuochi d’artificio.