Finalmente sta per terminare anche il tormentone di Sanremo 2015. Per quattro giorni non si è parlato quasi d’altro, due o tre pagine al giorno sui quotidiani, ne hanno scritto giornalisti musicali ed editorialisti di vaglia. Perché prima ancora che un concorso musicale, il Festival di Sanremo è diventato un fatto sociale…e il vostro vecchio Yoda ci aveva visto giusto inquadrandolo nell’attuale contesto: con la crisi che c’è, la gente se ne sta in casa a guardare la tv, e inoltre Conti partiva con una notevole dote, in termini di audience, di una sterminata platea di pensionati. Bastava aggiungerci qualche curiosità in puro stile “donna cannone” (la famiglia con sedici figli, Sammy Basso – uno dei 100 malati al mondo di progenìa – il cantante travestito Conchita Wurst, la bellissima Charlize Theron) e un po’ di cantanti e vallette figlie dei talent show per catturare una buona parte di pubblico giovane e raggiungere così “l’audience più alta degli ultimi dieci anni”, come ha dichiarato gongolante il direttore di RaiUno Leone. Ma secondo Yoda ha poco da gongolare: tutta la stampa è stata concorde nello stigmatizzare la mediocrità dei testi e degli interventi comici, con qualche rara eccezione.
Tutti hanno celebrato la normalità di Carlo Conti, la sua volontà di riportare il Festival nell’alveo di un concorso di canzoni, la sua educata toscanità, ma anche la sua determinazione nel cercare di restare sempre entro il confine del “politically correct”, non pronunciando mai la fonetica corretta dei “Kutzo” (Katzo) o chiamando con il suo vero nome, Tom, il travestito Conchita Wurst. Yoda non smetterà di ripeterlo, ma Conti, che rimane un eccellente conduttore e gestore di una macchina televisiva assai complessa, abusa troppo degli aggettivi “meraviglioso, straordinario, grandissimo”: appena uno ci fa caso, dopo un po’ non lo sopporta più. Ma se il pubblico in sala si spella le mani e urla addirittura di entusiasmo per un po’ di ex-divi in notevole sovrappeso, si capisce che questo è il festival giusto per un popolo che ha saputo raggiungere l’apice della mediocrità, non ha più voglia di sperimentare, si accontenta del déjà-vu, di ciò che conosce, ride a battute che nemmeno all’oratorio, e osanna persino Giovanni Allevi, presentato come “un genio straordinario (ma guarda!), l’ultimo enfant prodige della musica classica contemporanea, simbolo dell’eccellenza italiana nel mondo…”. Ohibò, allora siamo messi proprio male, ma davvero! Senza contare che il “genio straordinario”, uno che non si è peritato di autodefinirsi il Mozart del 2000, ha pure avuto l’impudenza di dichiarare a Conti: “Bisogna tornare all’umiltà, smontare le strutture per recuperare lo stupore incantato”. Roba da non credere.
L’ultima serata del festival inizia con un po’ di promozioni: un assaggio del musical Romeo e Giulietta, ultima fatica di David Zard, un’ospitata dei giovani attori della fiction di successo “Braccialetti rossi”. Poi il siparietto con i due coniugi sposati da 65 anni, che nel loro racconto ricordano quando in tutto il Paese c’era un solo televisore al bar. Primo ospite speciale Gianna Nannini, che – anche lei! – ha un disco in promozione. E purtroppo stasera è pure giù di voce. Peccato.
Momento clou per il comico italiano amico d’infanzia di Conti, Panariello. Entra sotto le spoglie di Renato Zero, lo imita cantando bene, intonato almeno come la Nannini. Qualche battuta carina, ma il livello è anche in questo caso piuttosto modesto. Al limite dell’imbarazzante il confronto tra le foto delle bellone portate al governo e in Parlamento da Renzi (Moretti, Madìa, Boschi) e la foto della Severino (“che sembrava Cecchi Gori”) Sic. Si sta sul limite del grassoccio che fa ridere tutta l’orchestra (“Berlusconi ha detto a Tsipras che le troike vanno sempre pagate, almeno un po’”), e Conti e Panariello sembrano due livornesi qualunque al bar. Finale, invece che in crescendo, in un diminuendo pateticamente inneggiante alla giustizia, non perché non sia un’aspirazione corretta, ma perché appare come una mera “captatio benevolentiae” di chi vuol sottolineare di avere in testa qualche pensiero più nobile di un po’ di battute da avanspettacolo. Mah.
Intanto passano le canzoni, secondo Yoda Nek interpreta bene una canzone che si muove agevolmente tra tradizione e modernità. Applausoni per il trio dei tenori de Il Volo, che hanno sapientemente messo insieme l’intreccio di voci con un abile crescendo orchestrale pop-sinfonico. Arriva un super ospite che con tre note ci fa capire cos’è un vero cantautore e come si scrive una canzone: Ed Sheeran, che oltre a essere molto famoso tra le teenager, è anche conosciuto perché fa molte cover acustiche di canzoni di altri grandi artisti. Anche lui è qua in giro a fare concerti, così lo hanno acchiappato per acchiappare il pubblico giovane. Conti parla troppo in fretta, così la traduzione simultanea è in difficoltà e l’intervistato non può che rispondere con qualche monosillabo…: ahi ahi, oltre ai troppi “meraviglioso”, Yoda ha scoperto un altro difettuccio in quella macchina da presentazione che è Carlo Conti.
Passa Alex Britti, che sa suonare bene la chitarra ma stona vistosamente un paio di volte. Intanto le due vallette italiane incespicano come sempre leggendo il gobbo, vestite da qualcuno che le ha immaginate molto più snelle di quello che sono. Splendida e ben vestita invece Rocio Munoz Morales, che – essendo spagnola – fa molta più attenzione alla lettura del gobbo: peccato che la si veda così poco.
Finalmente è il momento di Will Smith, e come al solito emerge la debolezza dei testi. Un esempio: “È vero che hai un rapporto privilegiato con l’Italia?”. Cosa poteva rispondere? I due si cimentano in un accenno di rap, poi Smith, con molta disinvoltura, fa cantare Volare a tutta la sala, è una canzone che cantava la sua nonna…Infine, si scopre che è un super ospite perché è venuto a Sanremo per promuovere il suo nuovo film insieme alla bella Margot Robbie. C’è anche lei, che scende la scala per venirsi a prendere la sua dose di applausi e permettere a Conti di ripetere almeno cinque volte (chissà, forse era nel contratto…) che il film esce nelle sale il 5 marzo. Insomma, si scopre che non c’era un super ospite che non fosse una marketta! Evidentemente in questo modo i cachet si abbassano.
Siamo alla fine: al momento di comunicare la classifica degli esclusi dai primi tre, compare Nek al nono posto con grandi proteste del pubblico, poi tutto si blocca, al computer è stato fatto un errore e il povero Conti viene lasciato solo con qualche fischio dalla sala e senza notizie. E qui ha dimostrato tutto il suo sangue freddo nel saper prendere tempo e coprire il buco. Alla fine gli danno un foglietto e la terna da cui estrarre il vincitore risponde perfettamente ai pronostici: Il Volo, Nek, Malika Ayane.
E persino Yoda è d’accordo: per melodia, arrangiamenti, esecuzione, sono senz’altro le canzoni maggiormente apprezzabili. Nell’attesa dell’ultima votazione, c’è un duetto così così di Marta e Gianluca: al solito i testi non sono granché, è c’è sempre in agguato qualche battuta scurrile. Fiorello dove sei?
Pubblicità. È già l’una passata, ma c’è un altro ospite: Enrico Ruggeri, che canta una bella canzone che parla di Gaber, Jannacci e Faletti che si ritrovano in cielo. In attesa del verdetto finale, si consegnano il Premio miglior arrangiamento e il Premio Lucio Dalla a Nek. Premio della critica Mia Martini a Malika Ayane. Così come aveva puntualmente previsto Yoda commentando la prima serata…
Per allungare il brodo, le tre vallette leggono ciascuna una letterina incespicando come al solito, e fanno un monumento da vivo a Carlo Conti: iniziativa decisamente sopra le righe e del tutto fuori luogo. Si apre la busta: terzo posto per Malika Ayane, secondo posto per Nek. Vincono i tre tenori de Il Volo con la canzone più “ruffiana”: la tradizione italiana del bel canto rivisitata con un assai furbo arrangiamento pop-sinfonico.
Il bilancio: del perché degli ascolti s’è già detto. Della grande modestia dei testi, pure. Per una volta le varie giurie hanno premiato le canzoni più meritevoli, perché tutte le altre erano piuttosto modeste. Notevole lo sforzo di Carlo Conti nel tentativo di riportare il Festival di Sanremo al suo ruolo di gara canora. Con testi e canzoni migliori, la più alta audience degli ultimi 10 anni sarebbe stata giusto motivo di soddisfazione. A parere di Yoda, invece, è stata la conferma che milioni di pensionati e di giovani precari lo hanno guardato non sapendo cos’altro fare. Del resto lo hanno pure detto Luca e Paolo (tra i comici migliori): “Oggi càpita che venga uno da Firenze, vada tutti i giorni in tv a dire un sacco di cazzate, e tutti a stargli dietro…”.