Il vostro vecchio Yoda si era impegnato a commentare anche la serata conclusiva del Festival di Sanremo. Visto che ha dovuto rivolgere per un po’ di giorni le sue orecchie pelose verso l’Italia, ha di fatto seguito tutte le serate, dato che non c’è stato programma radiofonico, televisivo, giornale e telegiornale che non abbia parlato della sessantasettesima edizione della gara canora nazionale. Così chi l’ha vista sa già tutto, e chi non l’ha vista continuerà a non interessarsene. Yoda ha quindi deciso di non redigere una inutile telecronaca della finale, dedicandosi piuttosto a mettere qualche puntino sulle i.



Si è detto e scritto che metà del Paese ha seguito Sanremo, e infatti il direttore di Raiuno ha subito twittato trionfalmente: “Il migliore share degli ultimi dodici anni”. Un momento: non stiamo parlando dell’Italia intera, ma della platea televisiva, che fino al 2000 circa vedeva i sei canali del duopolio televisivo (Rai e Mediaset) raggiungere il 90% del proprio pubblico (oggi il dato è sceso a circa il 70%). Il che vorrebbe dire, se Yoda sa ancora contare, che non avendo Mediaset contro-programmato per niente per non infastidire un Festival che ospitava la sua campionessa d’ascolti – Maria De Filippi – l’ultima edizione – in realtà a reti unificate – avrebbe dovuto almeno superare il 65%. Invece ha fatto assai meno delle edizioni di Baudo, Carrà, Bonolis Fazio, Morandi, che hanno oscillato tra il 65% e il 52%, quando invece Mediaset tentava di controprogrammare eccome. Quindi certi entusiasmi andrebbero come minimo un po’ ridimensionati. Ma che volete, per capire bastava guardare le facce oramai incartapecorite di certi giornalisti che seguono da anni l’evento canoro, e da sempre vengono coccolati e vezzeggiati dalla Rai. Così, tranne quelle sempre inoppugnabili di Aldo Grasso, le critiche sono state inevitabilmente poche; e anche la matematica è diventata un’opinione.



E poi, diciamolo, a viale Mazzini se la cantano e se la suonano: ieri sera, invece di parlare del devastante tsunami che sta per arrivare dopo la pubblicazione di nuovi documenti da parte di Wikileaks, al TG1 il giornalista Mollica, massimo esperto di post-verità televisive per i criteri tutti suoi con cui sceglie libri e dischi da promuovere (scusate, da commentare), intervistava in ginocchio Campo Dall’Orto: con l’aria ispirata e gli occhi sempre chiusi, il DG si beava per i grandi ascolti e soprattutto per l’innovativa presenza sul web, come se il Festival non fosse sempre stato presente sul web almeno dal 2006, se Yoda ricorda bene… Ma che volete, questa è l’Italia che la tv riflette: mediocre e modesta, come buona parte delle canzoni selezionate, e come i testi, spesso inutilmente volgari, che il sempre lucido Aldo Grasso ha puntualmente stigmatizzato. Un’Italia seduta, che non regge il confronto con un passato glorioso, come si è ben visto e sentito all’inizio della prima serata, quando incautamente sono state fatte ascoltare alcune delle più belle canzoni degli anni passati.



Stessa cosa vale per gli ospiti: senza la bravura di Giorgia e di Mika (che ovviamente non ha mancato di fare un po’ di propaganda LGBT) e la potenza romagnolo/blues di Zucchero, il Festival raramente avrebbe potuto brillare: quando ha brillato, lo ha fatto grazie a glorie di un passato più o meno recente, ma sempre del passato. Incluso il mitico Chris Stainton, co-autore con Joe Cocker e Leon Russel dei Mad Dogs and Englishmen, in scena assieme a Zucchero. Tra i cantanti, a parte le sorprese di Elodie e di Ermal Meta (che guarda caso ha vinto la serata delle cover con l’indimenticabile “Amara terra mia” di Modugno) la sanguigna Bianca Atzei, il grande livello dell’intramontabile Fiorella Mannoia, e poi il solido mestiere di Paola Turci…tutto il resto era poca roba.

Alla fine della fiera, Sanremo non è che una gara canora cha va avanti da quasi settant’anni: il problema è che da quando le canzoni non sono più belle, emozionanti e memorabili, si cerca di arrivare alla fine supplendo con presentatori, ospiti, modelle, comici e – ahimè – intermezzi social quasi sempre lagnosi o persino imbarazzanti, come quello degli stonatelli Ladri di carrozzelle. Siccome sono disabili, Conti li ha dichiarati “favolosi”. Mah: non era meglio allora far venire l’orchestra classica Esagramma, tutta di disabili, ma capaci di suonare impeccabilmente? Unico intervento del genere, che è stato azzeccato, secondo Yoda (ma evidentemente era di passaggio in tournée per l’Unicef) è stato quello che ha avuto come protagonista l’orchestra giovanile paraguayana Reciclados de Cateura, che suona strumenti ricavati dalla spazzatura.

Visto che abbiamo parlato dei presentatori, che dire della coppia di quest’anno? Carlo Conti e Maria de Filippi hanno pian piano trovato il giusto ritmo, rifacendo se stessi come era ovvio, ma quasi mai aiutati da testi e da idee alquanto modeste. Niente di che, alla fine: Conti, come Magalli, ha successo perché a una notevole capacità tecnica di saper tenere la diretta come pochi (Baudo, ad esempio) abbina l’umile simpatia del mediocre vicino di casa cui ti senti di andare a chiedere in prestito un po’ di zucchero senza sentirti in soggezione. Purtroppo esagera con certi aggettivi, tipo “straordinario”, “eccezionale”, e soprattutto “meraviglioso”. A Yoda ha fatto venire in mente l’inizio del film Cabaret, dove l’indimenticabile Joel Grey declamava: “Questa sera gli artisti sono meravigliosi, il pubblico è meraviglioso, l’orchestra è meravigliosa”, per cercare di far dimenticare i tamburi di guerra fuori dal locale.

Quanto a Maria De Filippi, già responsabile del degrado mentale degli spettatori di “Amici” o di “C’è posta per te”, ha confermato la triste sensazione di cosa ci aspetterebbe con il governo delle larghe intese: la medietà al potere, il perdonarsi i reciproci compromessi, pur di continuare a menare la danza insieme ai soliti noti (nel caso di specie i pochi onnipotenti agenti degli artisti e il sempre-presente Costanzo).

In mezzo a tanta mediocrità, per la prima volta il giudizio della giuria degli esperti ha collimato con quella del televoto. Sebbene tutti avessero decretato vincente da subito Fiorella Mannoia, il vostro vecchio maestro Yoda, che di musica un po’ si intende, era sicuro che l’orecchiabile motivetto di “Occidentali’s Karma” di Gabbani sarebbe subito piaciuto alle radio e al loro pubblico, che è poi quello che televota. E così è stato. Terzo Ermal Meta, dietro alla Mannoia, e insieme ai primi due anche vincitori dei vari premi delle giurie specializzate: altra cosa interessante e mai successa.

Perlomeno questa estenuante maratona, dal punto di vista musicale, ha prodotto alla fine un risultato decente, ma a che prezzo! Ore di noia, battute grevi o stentate, mezze risate piuttosto grasse, penosi intermezzi social, tonnellate di pubblicità: il divertente e accattivante balletto di TIM, troppo ripetuto, rischiava a un certo punto di far andare fuori dai gangheri chiunque. Non all’altezza della fama Virginia Raffaele (incredibilmente volgare) e persino Crozza, che si è riscattato l’ultima sera partecipando finalmente di persona, certo per rintuzzare le critiche di essere stato in collegamento da Milano per paura di contestazioni. Yoda ha trovato particolarmente indovinata la battuta su Renzi: “Dato che in tre anni non ha fatto nulla, era meglio se si fosse dedicato a imparare l’ukulele. Già, ma cosa diavolo ci facciamo con l’ukulele? Perché, cosa diavolo ci facciamo con Renzi?”. Chissà che cazziatone si prenderà Campo Dall’Orto, visto che il pubblico ha applaudito sentitamente. E lunedì c’è pure la direzione del Pd.

Meno male che è finita. Ora si torna nel solito bordello, molto simile a quello descritto dalla canzone vincitrice: “Tutti tuttologi col web/Coca dei popoli/Oppio dei poveri. AAA cercasi (cerca sì)/ Umanità virtuale/ Sex appeal/(sex appeal)/ Comunque vada, panta rei/And singing in the rain”.