La magia non si è ripetuta, dispiace dirlo. Pur usando praticamente gli stessi ingredienti il risultato è poco più di un lungo film lezioso almeno quanto noioso. La vita bugiarda degli adulti è la nuova serie tv distribuita da Netflix dal 4 gennaio e prodotta da Fandango. Tratta dall’omonimo libro di Elena Ferrante, ha evidenti connessioni con l’altra serie di successo L’amica geniale: oltre all’autrice, sono simili il racconto (un’adolescente che cresce alla ricerca della verità nella vita degli adulti che la circondano), la città che ne fa da sfondo (Napoli e i suoi contrasti tra periferia povera e centro borghese), la politica, com’era intesa nel secolo scorso (e cioè la sinistra comunista, il giornale l’Unità e le sue feste, le discussioni infinite).



Cambiano invece poche cose: il decennio (non siamo più nel primo dopoguerra e negli anni del boom economico, ma nei tristi anni ’80 della crisi profonda), il cast (tranne la partecipazione del giovane e bravo Giovanni Buselli) e il regista, che questa volta è Edoardo De Angelis. Cambiano però soprattutto l’organizzazione e si vede: il prodotto – a differenza del primo – deve essere stato considerato di scarso interesse internazionale perché è stato confezionato prevalentemente per il pubblico italiano. L’assenza di un partner internazionale (in L’Amica Geniale la produzione è marcata HBO) rappresenta anche il limite di lavorare con un budget diverso e questo incide non poco sul risultato.



A cominciare dal linguaggio. Il racconto calca la mano sulla differenza di dialetto tra la Napoli borghese, colta e di sinistra, che non disprezza i vantaggi di una vita agiata (belle case, ricche cene e vini pregiati, la soddisfazione per lo status sociale raggiunto), e la Napoli povera e volgare, che si esprime con un linguaggio chiuso e feroce, zeppo di parolacce e insulti. C’è una forzatura in tutto questo che si percepisce subito, e che lascia – per l’intera visione – una sensazione di scarso legame con la realtà.

La storia è abbastaste semplice. Giovanna giunta all’età dell’adolescenza sente un giorno il padre, noto professore universitario di sinistra, paragonarla alla sorella Vittoria. L’accostamento non è proprio un complimento. La zia non fa più parte da tempo della famiglia, e vive ai margini della società in una casa malmessa nella periferia orientale della città. Giovanna decide di capire cosa ha condotto alla rottura tra il padre e la  sorella e decide di andarla a conoscere personalmente nel suo quartiere. Entra in un modo a lei totalmente sconosciuto, così diverso da quello in cui ha vissuto fino a quel momento. In questa ricerca della storia della sua famiglia scopre che la vita degli adulti è più complicata di quello che ha sempre immaginato, che in essa dominano le bugie e i tradimenti, e che per lei è arrivato il momento di avere un autonomo punto di vista.



La crescita veloce e difficile di Giovanna, il suo passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta è segnata dall’incontro con i conflitti dell’epoca: non solo quello di classe espresso tra il centro e la periferia in una città spaccata in due, ma anche quello tra ragazze e ragazzi, tra i comunisti (i suoi genitori e i loro amici) e i cattolici (i ragazzi del quartiere popolare), tra il sud e il nord (quando va in viaggio a Milano). Nulla di particolarmente nuovo nella narrazione della Ferrante, ma qui presentato con una dose di violenza e di cupezza in più, forse perché gli autori considerano gli anni ’80 così, anni difficili, come del resto sono ricordati da tutti.

Nel cast due attori importanti come Alessandro Preziosi e Valeria Golino aiutano a reggere una narrazione spesso incongrua. Meno efficace il ruolo degli altri adulti, a cominciare dalla mamma di Giovanna, interpretata dall’attrice Pina Turco, conosciuta per il ruolo della moglie di Ciro l’Immortale in Gomorra. Numeroso il cast di giovani promesse, guidato da Giordana Marengo che interpreta Giovanna. La serie tv prova a giocare tutte le sue carte sugli anni ’80 e in particolare sulla colonna sonora di quel periodo, così legata agli artisti simbolo di un ricco e caotico decennio della storia culturale della città come i 99 Posse, Pino Daniele, Eduardo De Crescenzo e molti altri.

Nulla da dire infine sull’infinità di scorci della città, autentici e realistici. A differenza di quanto è stato fatto per i decenni passati (ad esempio, la ricostruzione ex novo del rione Luzzatti in L’amica geniale), la Napoli dagli anni ’80 è rimasta praticamente la stessa di oggi, immutata nel tempo e – duole dirlo – nel degrado, e non ci sono ricostruzioni da fare. È sufficiente continuare a giocare sulle due facce della stessa medaglia: la Napoli dei panorami mozzafiato di Posillipo contro la terribile bidonville di San Giovanni a Teduccio.

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