Il Consiglio direttivo della Banca centrale europea ha deciso ieri di alzare i tassi di interesse dello 0,5% e nel 2023 ci saranno altri aumenti “perché l’inflazione continua a essere di gran lunga troppo elevata”. L’Eurotower ha inoltre deciso che da marzo comincerà a ridurre il portafoglio di titoli acquistati nell’ambito del Pepp mediamente di 15 miliardi euro al mese fino a metà anno, per poi decidere se modificare o meno il ritmo di riduzione. Nel corso della conferenza stampa, la Presidente Christine Lagarde ha anche detto di sperare che l’Italia ratifichi presto la riforma del Mes. Come ci spiega Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale, “il rialzo di mezzo punto percentuale nei tassi di intervento era nelle attese degli analisti. La riunione del Consiglio direttivo, semmai, ha fornito maggiore chiarezza rispetto alle prossime mosse: in sostanza, dobbiamo aspettarci ulteriori, significativi incrementi nei prossimi mesi. Tradotto in termini operativi, almeno per i successivi due, tre o più incontri in calendario, la Bce procederà con aumenti dei tassi di mezzo punto alla volta finché non avrà sufficiente evidenza che il sentiero inflazionistico stia convergendo stabilmente sul suo target di medio periodo, pari al 2%”.



Il Consiglio direttivo si è tenuto proprio il giorno dopo la fine della riunione del Federal Open Market Committee della Fed..

È interessante notare che l’altro giorno la Federal Reserve ha aumentato anch’essa i tassi di mezzo punto. Tuttavia le analogie, ritengo, si fermano qui. Per la Fed, si tratta del settimo rialzo consecutivo dei tassi per complessivi 4,25 punti percentuali di aumento. La Bce ha ancora tanta strada da percorrere, come ha riconosciuto la Presidente ieri. Includendo il rialzo di ieri, la Bce ha aumentato i tassi di intervento di due punti percentuali e mezzo. Del dibattito americano, semmai, va registrato che si è concentrato non solo sulla velocità di rialzo dei tassi, ma anche sul livello del punto di arrivo, che la Fed stima nella misura di almeno il 5% da raggiungere il prossimo anno, e la durata complessiva della stance restrittiva, che dovrebbe permanere sino al 2024. Credo che le dichiarazioni della Presidente Lagarde abbiano inteso fornire qualche elemento in più proprio sulla scorta di quanto si sta discutendo al di là dell’Atlantico.



La Bce ha aggiornato anche le sue previsioni su inflazione e Pil. Cosa si può dire in merito?

Gli ultimi dati sull’inflazione confermano che la pressione sui prezzi si mantiene su livelli elevati. Nel mese di novembre, l’Eurostat ha stimato al 10% l’incremento dei prezzi su base annua, in discesa dal 10,6% del mese precedente, ma confermandosi pur sempre su livelli significativi. Alcune tra le più grandi economie dell’Eurozona, l’Italia e la Germania, hanno riportato aumenti persino superiori alla media. In termini prospettici, poi, le nuove previsioni appena divulgate dalla Bce mostrano che la spinta inflazionistica è più persistente del previsto, attestandosi alla fine del prossimo triennio al 2,3%, dunque al di sopra del target di medio periodo. Tale valore è peraltro in linea con le aspettative implicite nei prezzi di alcune attività finanziarie.



E sul fronte del Pil?

L’attività economica nell’Eurozona si è mostrata più resiliente del previsto nell’anno che si sta per chiudere con un 3,4T di crescita rispetto al 3,1% stimato solo lo scorso settembre, con sorprese positive evidenti anche nel caso italiano che ha consolidato una crescita superiore alle attese. Per il prossimo anno, invece, la Bce prevede un tasso di incremento del Pil modesto, in ragione dello 0,5%, che coincide con quello del Fmi. Paradossalmente, la tenuta – sinora – del Pil non ha agevolato l’outlook inflativo, dando spazio a quanti, in seno al Consiglio, hanno spinto per una risposta più aggressiva.

Come commenta invece le decisioni relative al reinvestimento dei titoli?

La riunione di ieri ha fornito indicazioni importanti sul futuro delle politiche di reinvestimento dei titoli di Stato che la Bce ha classato nel suo portafoglio. Anche in questo caso confermando le attese degli analisti, la Bce ha deciso di ridurre i reinvestimenti netti di 15 miliardi al mese a partire da marzo. Come ha chiarito la Presidente Lagarde, vengono in sostanza dimezzati i riacquisti nell’ambito del programma non convenzionale App. Quelli nell’ambito del programma Pepp si protrarranno almeno sino alla fine del 2024. Giova ricordare che i titoli di Stato italiani attualmente detenuti dalla Bce hanno raggiunto consistenze elevate: 446 miliardi nell’ambito del programma App e 287 nell’ambito Pepp.

A proposito di Italia, nella conferenza stampa si è parlato anche del nostro Paese…

Come spesso accade nelle conferenze stampa della Bce, l’Italia riceve menzioni particolari. Ed è stato certamente il caso anche ieri. Rispondendo a una domanda della stampa, la Lagarde ha invitato l’Italia a ratificare il trattato di riforma del Mes, aggiungendo che tale riforma non rende inerte l’istituzione lussemburghese che rimane, invece, nella sua piena operatività per quel che concerne l’Omt. Come si ricorderà, l’Omt fu introdotto dall’allora Presidente Draghi all’indomani del famoso discorso di Londra nel luglio 2012 per consentire alla Bce di intervenire con acquisti di titoli di Stato, in teoria illimitati, a favore di un paese dell’Eurozona che dovesse sperimentare difficoltà di accesso ai mercati. L’Omt, che sinora non è stato mai attivato, è condizionato, appunto, a un programma di aggiustamento macroeconomico somministrato dal Mes stesso. La Lagarde è stata, poi, invitata a commentare l’attuale andamento dello spread sui titoli italiani che non mostra – almeno sino ad ora – elementi di pressione: al contrario, i mercati sembrano aver ben accolto la Legge di bilancio. Su questo, però, la Presidente non è stata loquace.

(Lorenzo Torrisi)

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