E’ disperato Manuele Altiero, il marito di Laila El Harim, la donna di 40 anni morta due giorni fa incastrata in un macchinario nel modenese. «Mi ha avvertito alle 9 di mattina, con una telefonata, un mio ex datore di lavoro – racconta ai microfoni del Corriere della Sera lo stesso Manuele – socio dell’impresa dove circa un paio di mesi fa era stata assunta la mia compagna. Non è riuscito a dirmelo chiaramente: “Laila ha avuto un brutto infortunio, corri qui…”. Non ha aggiunto altro. Ma io ho capito tutto». Dopo la telefonata ha raggiunto in 20 minuti Bomporto, il paese dove lavorava Laila, recandosi presso la Bombonette, impresa che produce imballaggi: «All’ingresso c’erano i mezzi dei vigili del fuoco e le auto dei carabinieri. Non c’erano ambulanze… Uno dei carabinieri è venuto verso di me. È stato garbato, chiaro: “Devo dirle che la sua compagna è morta per le conseguenze di un incidente dentro l’impianto, alla fustellatrice. Così…».
Quindi una volta entrato nel capannone, «lei era coperta da un lenzuolo. Dovevo starle vicino almeno un’ultima volta…». Un destino beffardo ha voluto che Laila El Harim se ne andasse a meno di un anno dal matrimonio: «Ci siamo conosciuti l’1 luglio 2001, eravamo nello stesso posto di lavoro. Ci siamo fidanzati senza più lasciarci. Non eravamo sposati, ma progettavamo di farlo il prossimo giugno, in Puglia, la regione da cui proviene mio padre che si è stabilito qui nella Bassa dopo aver trovato lavoro come operaio alla Fiat e avere sposato una modenese. Il mese scorso avevo regalato a Laila l’anello. Quelle nozze davanti a nostra figlia sarebbero state bellissime… Poi magari un giorno avremmo coronato il sogno dell’acquisto di una casa al mare. Che a Laila piaceva tantissimo».
LAILA EL HARIM, IL MARITO MANUELE: “A NOSTRA FIGLIA L’HO DETTO SENZA GIRARCI ATTORNO”
Manuele ha dovuto anche affrontare il dolore di dire alla figlia Rania della scomparsa della madre: «Consigliato da una psicologa del Comune di Bastiglia, dove vivo, le ho detto cosa fosse successo, senza girarci attorno: “Mamma purtroppo ha preso una botta forte, è andata in cielo». Rania mi ha guardato e sì, certo, ha capito. Poi mi ha abbracciato stretto, a lungo». Erano solo due mesi che la donna lavorava alla Bombonette: «Da circa due mesi lavorava alla Bombonette, i cui proprietari, la famiglia Setti, l’avevano fortemente voluta sapendo quanto fosse brava sulla fustellatrice, macchina per sagomare. La pagavano meglio di prima. “O cambio ora o mai più” si era detta. Con i Setti, sia il padre Fiano che il figlio Daniele, si era trovata bene, questo è vero».
Ma qualcosa si capiva che non andava come doveva: «Le macchine devono funzionare come si deve: io capisco che si debba fare qualcosa in più… Ma la sicurezza viene prima. Ogni giorno attorno a quella fustellatrice c’era un elettricista, c’erano dei problemi. Laila, inoltre, doveva occuparsi dell’avviamento su tutte le apparecchiature, istruendo anche un apprendista. Che martedì purtroppo era assente perché è andato a vaccinarsi. Se ci fosse stato, chissà, forse non sarebbe successo…». Manuele si augura ora di scoprire la verità, se c’è stato qualcuno che ha commesso qualche sbaglio: «Credo che si debba, in qualche modo, andare oltre al senso dell’inchiesta. Devono essere le autorità, e la politica, a pretendere la verità su cosa è successo alla mia Laila. Glielo dobbiamo. Non si può morire sul lavoro, non deve succedere più».