RETTIFICA DEL 13 DICEMBRE 2019 In merito a quanto riportato nell’articolo seguente ci è giunta richiesta di rettifica il cui testo è raggiungibile cliccando qui.

L’Amazzonia brucia? È colpa (anche) della bresaola IGP della Valtellina, nonché delle scelte dei consumatori italiani: sembrerebbe un paradosso questo legame tra una delle più drammatiche emergenze climatiche degli ultimi anni e le abitudini alimentari di noi italiani, una sorta di “butterfly effect” applicato all’industria agroalimentare eppure è così e Milena Gabanelli, assieme a Simona Ravizza, nell’ultimo appuntamento del suo DataRoom sul sito del Corriere della Sera ha fatto luce su una vicenda di cui in realtà si sa già da molti anni ma che ha visto accendersi i riflettori dopo le strazianti immagini dei roghi che hanno “divorato” ettari ed ettari di vegetazione nel cuore del Brasile. Infatti, come è noto, il nostro Paese al momento è il massimo importatore di carni bovine congelate dal Sudamerica e -aspetto che invece in pochi sanno- almeno il 50% di questo import è utilizzato per la realizzazione della “italianissima” bresaola della Valtellina. Questo perché la sempre maggiore necessità di terreni estensivi e di pascoli per gli allevatori brasiliani ha portato a incrementare (legittimamente e anche con pratiche criminali avvallate di governi dei Paesi latini) la deforestazione, in modo da fare fronte alla sempre maggiore domanda (e allo spreco…) dei mercati d’Oltreoceano quale anche il nostro. Si calcola che l’Italia importa dal Brasile 25,4 mila tonnellate di carne bovina (stando all’ultimo anno) per un giro di affari che nel 2018 ha toccato quasi 135 milioni di euro: e lo stesso accade per la soia che serve per produrre i mangimi destinati agli allevamenti nostrani.



INCENDI IN AMAZZONIA: L’IMPORT EUROPEO E LE LOBBY DELL’AGRIBUSINESS

Il caso della bresaola valtellinese tuttavia è emblematico di questo fenomeno: stando ai dati raccolti dal progetto “Deforestazione Made in Italy”, infatti, c’è un rapporto diretto tra alcune delle eccellenze che vengono prodotte nel Belpaese e la sempre crescente deforestazione in atto in Sudamerica, con alcuni incendi dolosi appiccati dall’uomo in Amazzonia solo per avere più terreni sfruttabili e mandare via le popolazioni indigene. Altre inchieste hanno invece puntato il dito contro le potenti lobby dell’agribusiness, “responsabili” dell’elezione del presidente brasiliano Jair Bolsonaro che in più di un’occasione ha mostrato atteggiamenti ambivalenti di fronte al dramma del “polmone verde” del pianeta. Certo, c’è il paradosso che questa industria dà lavoro a migliaia di persone ma è anche vero che non sono rari i casi di sfruttamento e di lavoratori ridotti in schiavitù da multinazionali che fatturano miliardi eppure lesinano su salari e condizioni minime di sicurezza. Di fronte a questo dramma la risposta dell’Unione Europea è debole e in questo circolo vizioso la distruzione delle foreste del Sudamerica avrà come conseguenza ripercussioni climatiche molto pericolose pure per il Vecchio Continente. Eppure nonostante dichiarazioni di intesa e la firma di protocolli come quello di Amsterdam (che vincola Italia e altri sei Paesi a contrastare determinate importazioni da aree deforestate) il fenomeno pare inarrestabile e come spiega la stessa Gabanelli l’unico “atto politico” per il consumatore è quello di saper scegliere quando fa la spesa e boicottare certi prodotti, inducendo il mercato a cambiare rotta.



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