Come in ogni romanzo che si rispetti, la bella contesa tra due pretendenti non fa sconti, la civettuola sospira con uno e intrigante fa sperare l’altro. Guy de Maupassant ci avrebbe ricamato sopra una delle sue belle storie. Con Landini conteso tra l’amore per il rosso che intravvede dietro la cara Elly Schlein e la radice popolana e barricadera del capopopolo Conte. Maurizio è dilaniato, non sa dove portare la sua dote di potenziali elettori-lavoratori, se darla a Elly, che ormai sempre più vede nel 1976 il suo anno di riferimento politico, o se abbracciarsi al tribuno mediatico Giuseppi, ormai invasato difensore di un populismo postumo che ancora, suo dire, può dare fiato suo sue ambizioni.
Il punto è che la bella contesa Cgil non è da tempo la bella castellana che appare. Il suo rapporto con la società è flebile e depotenziato, complice la deindustrializzazione latente del Nord Italia a causa della fuga della ex Fiat dalle dinamiche contrattuali e sociali. I grandi bacini dei metalmeccanici sono ormai vuoti sarcofagi di cemento e la gran massa dei lavoratori ha un rapporto utilitaristico con la partecipazione sindacale, interpretata come un ufficio di servizi à la carte e non come un luogo in cui vivere il conflitto di classe coi padroni. Certo la Cgil è, come Cisl e Uil, ricca di suo, ma la ricchezza politica di un tempo è svanita, soprattutto a sinistra, da quando le dinamiche salariali e le decisioni sui contratti collettivi hanno perso importanza. E allora, perché Elly e Giuseppi si contendono Maurizio?
La cosa è chiara. Landini può essere un fulcro della loro unione a patto che entrambi smettano di fare politica. Perché Landini vuole, e perciò li corteggia, un’unità sui temi del lavoro per portare di nuovo nella centralità il ruolo sindacale. È lui che ha bisogno di loro, più di quanto loro abbiano bisogno di lui. È lui che ammicca, come una vedovella di Guy de Maupassant, sperando che arrivi un buon partito e che lo riporti nel cuore della gente. Maurizio sa che le dinamiche per cui il sindacato è sorto sono ormai disastrate da decenni di deregolamentazione e che senza una legge, molto difficile, che dica che i sindacati si pesano per dare validità ai contratti, dovrà subire la concorrenza di Uil, Cisl, Ugl, Cobas e tanti altri che in alcuni settori sono e restano più forti della Cgil. Quindi, come continuare a fare “politica” restando sindacato? Semplice, alleandosi ai politici per trovare un ruolo al sindacato.
E in questo le sirene di Landini colgono nel segno. Conte ambisce ad avere un interlocutore a sinistra per mantenere vivo il rapporto con la parte “massimalista” del suo elettorato. Elly, addirittura, sposerebbe ogni punto dei piani della Cgil (dal salario minimo contrattuale alla reintroduzione dell’art. 18, alla creazione di una legge sulla rappresentanza) che vede del tutto in linea con il suo futuro, con lo slogan “lavorare meno lavorare tutti” a far da colonna sonora dei cortei in cui spingere la proposta di portare la settimana lavorativa a quattro giorni per legge.
Il terzetto usa i temi del lavoro per fare politica piuttosto che offrire una soluzione ai bisogni delle persone a lungo andare. Nessuno dei tre parla della carenza strutturale di personale specializzato che andrebbe formato, nessuno parla di politiche di avviamento al lavoro dei giovani come priorità nel Mezzogiorno, nessuno sa come disinnescare la spirale inflazionistica che vanifica ogni aumento di stipendio, tutti vogliono invece un salario minimo (legale o contrattuale), ma nessuno ha il coraggio di chiedere una svolta per un sindacalismo “alla tedesca” che si occupi dell’azienda e la renda più forte e produttiva (facendo più ricchi i lavoratori) piuttosto che vederla come un nemico da cui perdere anche se poi non fa margini per pagare gli stipendi.
Pare insomma, che siano alleanze di pancia, di istinto e di spin narrativo, in cui la donzella Landini cerca un buon partito per rimettere in circolo la sua personale idea di conflitto sociale (che porta alla rivoluzione) paventando una dote (difficile da valorizzare) che Elly e Giuseppi si contendono come due nobili spiantati a cui serve una borsa di marenghi d’argento (i voti) per proseguire a far parte della “buona società” (politica). Tutti e tre bluffano. Ognuno a modo suo e la cosa, a lungo andare, rischia di perdere i toni epici e drammatici del naturismo di Guy, e virare verso una commedia alla De Curtis in cui si ritrovano in tre a maggio, dopo le europee, senza voti, senza leggi e senza incarico. Ma nel frattempo avranno, almeno questo, fatto un po’ di teatro. Di questi tempi non da buttare.
Meglio un ripasso della letteratura francese, sempre attaccati a TikTok ci si annoia.
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