Una rubrica per guidare i bambini della scuola primaria ad «accorgersi» della varietà dei fenomeni fisici presenti nella realtà quotidiana. Per dare soddisfazione a quella curiosità infantile, definita «sacra» da Albert Einstein e tipica dei grandi scienziati, ma che è spesso mortificata da approcci ludici o fantasiosi se non addirittura aridamente formalistici. Una sfida che l’autore ha raccolto, coniugando semplicità e rigore concettuale e linguistico.



 

Un caro saluto ai miei piccoli lettori. Questa volta vorrei darvi una notizia che – ne sono sicuro – non vi farà dormire sonni tranquilli: devo, infatti, informarvi che, nonostante le apparenze, i colori non esistono! O meglio, esistono solo nella nostra mente. Il mondo che ci circonda, infatti, non è colorato. Detto in altri termini, il colore non è una proprietà degli oggetti che vediamo, come per esempio la loro forma, il loro peso, la loro consistenza e così via, ma un’esperienza puramente soggettiva legata alle condizioni ambientali e al funzionamento del nostro apparato visivo. Prova ne è che non tutti vedono i colori allo stesso modo (i daltonici ne sanno qualcosa …). Insomma, l’erba dei prati non ci appare verde perché è verde, il mare non ci appare azzurro perché è azzurro, come pure le fragole non ci appaiono rosse perché sono rosse. La materia non ha un colore. Noi la vediamo colorata in seguito a una complessa interazione fra la luce che illumina l’ambiente, la struttura atomica degli oggetti presenti e il nostro apparato visivo. Ma procediamo con ordine.



 

Isaac Newton

Il primo a intuire la vera natura dei colori fu il famoso scienziato inglese Isaac Newton che nel 1666 riuscì a dimostrare che la luce bianca del Sole, in realtà non è «pura», non è cioè uno dei colori fondamentali (come quelli dell’arcobaleno), bensì il risultato della sovrapposizione di più luci di diverso colore. Come fece Newton a pervenire a questo risultato?

Fece quello che ogni buon fisico si ingegna a fare quando vuole verificare una sua intuizione: realizzò un esperimento. Per prima cosa prese un prisma di vetro e lo pose sul percorso di un sottile fascio di luce che penetrava nella stanza da un piccolo foro che aveva praticato sull’imposta di una finestra. Come si aspettava, all’uscita dal prisma la luce del Sole si scomponeva nei colori dell’arcobaleno. Il fenomeno, infatti, era ben noto – i prismi erano venduti nelle fiere paesane proprio per creare questi giochi di luce – ma si credeva (erroneamente) che fosse il prisma stesso a colorare in qualche modo la luce bianca. La mossa geniale di Newton fu quella di porre un secondo prisma a valle del primo, ma in posizione capovolta, in modo tale che i raggi di diverso colore che lo attraversavano compissero esattamente il percorso inverso rispetto a quello fatto precedentemente nell’altro prisma. Il risultato fu quello di ottenere all’uscita del secondo prisma nuovamente un fascio di luce bianca. Era la prova inconfutabile del fatto che l’azione di un prisma è solo quella di separare la luce incidente nelle sue componenti cromatiche e quindi, in definitiva, che la luce bianca del Sole non è altro che il risultato della sovrapposizione dei colori dell’arcobaleno.



 

Cosa succede quando un oggetto è illuminato dalla luce del Sole?

Per prima cosa dobbiamo ricordare che i materiali di cui sono fatti gli oggetti non sono tutti uguali e che materiali diversi sono composti da atomi differenti. Inoltre, e questo è il punto fondamentale, atomi diversi interagiscono con la luce in modo diverso. In generale, ciascuna specie atomica assorbe alcune delle componenti cromatiche della luce da cui è investita e riflette le altre. Un oggetto illuminato dal Sole, pertanto, ci apparirà sempre del colore risultante dalla sovrapposizione delle componenti cromatiche riflesse dai suoi atomi (quelle assorbite ovviamente scompaiono e non possono contribuire al suo colore). Un pomodoro maturo ci appare rosso perché assorbe completamente le componenti blu e verde della radiazione solare, mentre riflette in larga misure quella rossa. Per questo motivo, se venisse illuminato solo con una luce monocromatica blu o verde, il pomodoro assumerebbe un colore tendente al nero perché verrebbe a mancare la componente riflessa, cioè il colore rosso.

Da questo semplice esempio s’intuisce facilmente il ruolo fondamentale che la composizione cromatica della luce usata per illuminare un certo ambiente svolge nel «colorare» gli oggetti presenti. I commercianti questo lo sanno bene! Nei supermercati, per esempio, per dare ai generi alimentari un aspetto invitante, viene modificata opportunamente (per mezzo di filtri ottici) la luce usata per la loro illuminazione in modo tale da rafforzare quei colori a cui normalmente viene associata la buona qualità e la freschezza del prodotto. Per le banane e i limoni, per esempio, viene accentuata la componente cromatica gialla, per la carne fresca quella rossa, per le insalate quella verde, e così via.

 

Oggetti bianchi e oggetti neri

In generale, la luce delle lampade normalmente usate per l’illuminazione degli ambienti, anche se a noi appare bianca, ha una composizione cromatica differente da quella solare. Immagino sia capitato anche a voi di acquistare un indumento, convinti che avesse un certo colore (quello visto alla luce artificiale del negozio), ma poi, dopo averlo osservato alla luce del Sole avete realizzato che in realtà ne aveva uno – anche se non di molto – diverso!

Gli oggetti che appaiono bianchi o neri rappresentano due casi limite. I primi, infatti, sono quelli che riflettono tutte le componenti cromatiche della radiazione solare, mentre i secondi sono quelli che, al contrario, le assorbono tutte. Un oggetto nero ha quel colore proprio perché non è in grado di riflettere alcuna componente cromatica della luce che lo illumina; e questo a volte può portare a qualche spiacevole conseguenza. La luce assorbita, infatti, non viene persa ma, essendo anch’essa una forma di energia (radiante), contribuisce ad aumentare l’agitazione termica delle molecole del materiale di cui è fatto l’oggetto, che di conseguenza si riscalda. Ne sa qualcosa chi possiede un’auto nera e sale a bordo della sua vettura dopo averla lasciata parcheggiata al Sole per un po’ di tempo!

 

Esperimento

Per familiarizzare con quanto vi ho raccontato, vi propongo un semplice esperimento. Vi servono: una torcia elettrica, un filtro per macchina fotografica di colore verde (se non lo possedete potete usare un foglio di plastica trasparente verde) e un’automobilina di colore rosso (una Ferrari va benissimo!).

 

Primo passo

In una stanza buia (finestre chiuse e luci spente) illuminate la vostra automobilina con la torcia. Ovviamente il suo colore vi apparirà rosso.

 

Secondo passo

Ripetete la stessa operazione ponendo davanti alla torcia il filtro verde. L’automobilina in questo caso è illuminata da una luce la cui componente cromatica dominante è il verde. Di che colore vi apparirà ora la vostra Ferrari?

 

Spiegazione

Quando la vostra automobilina è illuminata con la sola luce verde, la assorbe completamente (o quasi) e di conseguenza non sarà in grado di riflettere in maniera efficiente alcuna radiazione visibile. La vostra Ferrari vi apparirà pertanto di un triste colore grigio scuro anziché rossa.

 

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Sergio Musazzi

(Ricercatore e divulgatore scientifico)

 

© Rivista Emmeciquadro

 

 

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