Dal quotidiano “La Stampa”, luglio 1979: “(…) il crescendo impressionante di Lucio Dalla e Francesco De Gregori ha mozzato il fiato a tutti (…) arrivano e si prendono tutta l’attenzione, ma non ci sono caroselli di polizia, contestazioni autonome da stigmatizzare (…) Ecco questi due (comunisti, attenzione) che semplicemente cantano e suonano canzoni e vanno a sentirli in 50.000 (…) Possibile che fossero lì solo per due cantanti? Ebbene, pare proprio di sì”.
Così, “marzullianamente”, Ennio Donaggio sulle pagine de “La Stampa” a quel tempo diretta emanazione della famiglia Agnelli, nel luglio 1979 si faceva domande e si rispondeva nella cronaca della tappa del tour “Banana Republic” celebrata il 21 di quel mese, nello stadio “Comunale” di Torino. “Messa festosa (…) ma pacata (…) Solo poco tempo fa, 50.000 riuniti in uno stadio (…) avrebbero dato luogo a tensioni e polizia, risse e tumulti”. Sempre sulle pagine del quotidiano della borghesia torinese così sintetizzava lo scrittore Nico Orengo. Si trattava, insomma, di “una Messa laica, un raduno di una setta di pacifica religiosità”.
In quel 1979 musicale e discografico di cui abbiamo raccontato nella puntata precedente, l’avventura del tour di Fabrizio De André con la PFM, si compiva un altro miracolo che metteva ormai al riparo da incidenti e contestazioni che durante il decennio avevano accompagnato lo svolgersi dei concerti rock degli artisti d’oltralpe e dei nostri cantautori.
E questo sorprendente risultato lo ottennero due beniamini del pubblico giovane, che stavano vivendo un momento importante della loro carriera: l’introverso De Gregori, campione di ermetismo ed essenzialità compositiva, dopo lo shock del processo pubblico al quale era stato sottoposto da un gruppo di autoriduttori durante un suo concerto a Milano, qualche anno prima, aveva sospeso la sua attività live, ma intanto, nell’estate 1978, aveva colpito nel segno con l’album contenente l’hit “Generale”.
La sua partecipazione al tour poteva essere una sfida per la sua carriera: una straordinaria opportunità. La conferma è in una famosa lettera aperta al suo compagno di tour, che si conclude con queste parole: “È troppo bello, Lucio, cantare in due la stessa canzone. (…) Viva la canzone – ma oggi anche: viva la canzone in due”.
L’altro componente dell’inedita coppia era per carattere l’esatto contrario: un bolognese esuberante, estroverso; poliedrico musicista con più di un decennio di carriera in attivo con cicli artistici differenti tra loro: quello iniziale di “rottura”, soprattutto nell’immagine; quello popolare delle partecipazioni al Festival di Sanremo, protagonista delle Hit Parade radiofoniche; quello dell’ermetismo e della denuncia sociale, tanto cara alla cultura del ’68, grazie a un tris di album con la collaborazione ai testi del poeta bolognese Roberto Roversi. Ora, anche questa parentesi si era chiusa, non senza qualche polemica il sodalizio si scioglieva e Dalla si metteva “in proprio”, pubblicando nel 1977, con successo, il suo primo album totalmente scritto da lui: “Com’è profondo il mare”, seguito nella primavera del 1979 da “Dalla”, il secondo capitolo della sua produzione più “iconica”, quello contenente brani indimenticabili come “L’anno che verrà” e “Anna e Marco”.
Questo originale tour “Banana Republic”, ha una premessa: nel dicembre 1978, i nostri eroi pubblicano a sorpresa un ‘45’ giri dal titolo: “Ma come fanno i marinai”. Il successo di questa “canzoncina” (perché di questo si trattava), li porta a valutare se non possa essere da traino per una tournée estiva in coabitazione, che percorra, per la prima volta la penisola, con concerti nelle arene e negli stadi.
A differenza del contemporaneo evento live “indoor” di De André e PFM (lavoro di gruppo omogeneo e scevro da imprevisti esterni), quello di Dalla e De Gregori coinvolge una platea di collaboratori: il livello organizzativo sarà nelle mani di due “potenze” manageriali dell’epoca come Renzo Cremonini e Alessandro Colombini sotto l’egida del direttore generale della RCA, Ennio Melis. Poi ci fu la necessità di scegliere dei musicisti accompagnatori che fossero ben accetti dai due front men: Dalla fece le scelte predominanti, chiamò un gruppo dell’area bolognese, che poco tempo dopo continuarono insieme col nome Stadio. Inoltre, a coordinare e studiare gli arrangiamenti chiamò un suo giovanissimo amico, già famoso nell’ambiente, valente polistrumentista, interprete canoro dall’inizio degli anni ’70 con il suo nome di battesimo Rosalino Cellamare che, proprio in questa occasione fu ribattezzato dallo stesso Dalla con il nome d’arte di Ron.
Anche la questione dell’ordine pubblico fu risolta in maniera creativa e piuttosto furba: per mantenere tranquillo l’ambiente nel pubblico partecipante non ci si affidò più alla polizia bensì al servizio d’ordine del PCI, quello delle feste dell’Unità. Questa decisione la dice lunga quale fosse la realtà sia politica che culturale imperante in quegli anni.
Si comincia il 16 giugno da Savona e il giro canoro continuerà con successo crescente, ospitato da arene e stadi. Attenzione: stadi! È la prima volta in assoluto che si affrontano spazi di questo genere con inevitabili problemi di acustica e di partecipazione diretta del pubblico pagante, ma il dado era tratto.
Una curiosità: se non ci fosse stato un parere negativo, soprattutto di Dalla, a un’eventuale data milanese, i due cantautori, probabilmente, sarebbero stati i primi a riempire lo stadio di San Siro. Per la cronaca il primo italiano in questa impresa fu Edoardo Bennato nel 1980, pochi giorni dopo il mitico concerto di Bob Marley.
Ma un racconto a parte, che ha risvolti molto curiosi, è quello che riguarda la pubblicazione dell’album live dei concerti: previo annullamento delle ferie dei dipendenti della fabbrica “stampatrice” della RCA, il disco fu messo in commercio alla fine di luglio, proprio in concomitanza dello svolgimento del tour.
Una decisione di marketing spericolata che, comunque alla notizia dell’uscita del “instant – record”, ricevette dai negozi la richiesta di ben 100.000 prenotazioni. Tutto perfetto, quindi? No, non proprio, la sua realizzazione fu piuttosto avventurosa.
Si era scelta la data di Bologna per la registrazione, ma il concerto fu sospeso per un violento acquazzone: vennero allora ripescate registrazioni da date precedenti, non propriamente di qualità e perdendone parecchie che non entrarono nel disco, rimasto mutilato di diversi brani in scaletta, rimanendo così anche in futuro.
Nonostante il responsabile del suono Peter Greenslade fosse lo stesso che aveva curato in maniera ineccepibile il disco live di De André e PFM, l’impressione all’ascolto di “Banana Republic” è quella di un risultato di un’opera tecnica di dilettanti: fischi dei microfoni (l’effetto “larsen”), poco equilibrio tra voci e strumenti e, per non far mancare niente, inserimenti di applausi tarocchi, quelli da una partita di calcio.
Anche la confezione della cover uscì piuttosto approssimativa, come tirata via. Neanche i testi delle canzoni nella busta interna erano connessi con le registrazioni: esempio clamoroso quello di “4/3/1943” che manteneva il testo “ufficiale” corretto dalla censura, mentre per la prima volta Dalla decise di cantare quello originale, sconosciuto ai più. Eppure, alla fine dell’anno l’album risulterà tra i più venduti, appena dietro a quello da primato: l’album in studio di Lucio Dalla.
E i ricordi vanno ai chilometri fatti a bordo di una 127 Fiat percorrendo le strade di quell’assolata estate in compagna di amici e del suono di una musicassetta registrata dal vinile con “Banana Republic” sparato a tutto volume e cantato a squarciagola.
Ma so di averla già tirata per le lunghe.
Per chi è arrivato, bontà sua, alla fine di questo articolo, vorrei confessare che il senso di queste righe rimane il desiderio di raccontare un pezzo della nostra storia, testimoni di quel fatidico 1979, quella svolta discografica e di costume, rappresentata dal pionierismo artistico di quei cantautori che segneranno una strada a tanti altri colleghi, per la gioia dei fans: una storia condivisa che val la pena essere ricordata e raccontata.
NB: Per la stesura di questo articolo, l’autore, oltre ai propri ricordi personali si è avvalso dell’aiuto cronologico e di alcuni passaggi storici, della lettura dell’interessante libro, scritto da Ferdinando Molteni “Banana Republic. Dalla – De Gregori e il tour della svolta” Vololibero Edizioni, Milano, 2018.
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