O con Greta o con Trump? No, con papa Francesco. Sullo sviluppo sostenibile la Regione Lombardia non cade nella trappola di chi pensa che alla difesa dell’ambiente vada sacrificato tutto oppure che la questione ambientale semplicemente non esista. Accantonare il tradizionale modello di sviluppo non significa cedere alle sirene mortifere della decrescita felice, quanto piuttosto ripensare un nuovo paradigma, partendo dal presupposto che la sostenibilità non è solo ambientale, perché riguarda trasversalmente tutte le dimensioni dello sviluppo: ambientale, economica, sociale. E’ una questione antropologica: non c’è ecologia, non c’è sostenibilità senza mettere al centro l’uomo e il suo rapporto con l’ambiente e le sue risorse. E nel giorno in cui si apre a Milano, da oggi fino a sabato 21 novembre, il Forum regionale sullo sviluppo sostenibile, a spiegare la posta in gioco è Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e clima di Regione Lombardia: “Lo sviluppo sostenibile è una sfida e il nostro territorio vuole fare da locomotiva sul percorso verso questo nuovo paradigma, fondato sull’economia circolare, la transizione energetica verso le fonti rinnovabili, la tutela della biodiversità, le azioni per mitigare e adattarsi al cambiamento climatico”.

La sostenibilità non attiene solo alla questione ambientale, ma attraversa tutti i settori. E’ d’accordo?

Certamente la sostenibilità non è solo ambientale. Uno dei limiti più gravi che riscontro nella discussione sulla sostenibilità è proprio quello di volerla confinare a forza tra i temi ambientali. La sostenibilità, come ben descritta dai 17 obiettivi di Agenda 2030, riguarda trasversalmente tutte le dimensioni dello sviluppo: ambientale, economica, sociale. Azzerare la povertà o la fame non sono obiettivi squisitamente di natura ambientale. Ma questo dimostra che dietro la sostenibilità c’è un modello diverso di sviluppo.

Che visione di sostenibilità ha la Lombardia?

La Lombardia è convinta che lo sviluppo sostenibile, in alternativa alla decrescita felice teorizzata da alcuni, sia l’unico possibile nel secolo che stiamo vivendo. E’ una sfida per un territorio come il nostro, che è stato certamente un territorio d’eccellenza nel modello di sviluppo tradizionale e che ora vuole fare da locomotiva verso questo nuovo paradigma, fondato sull’economia circolare, la transizione energetica alle fonti rinnovabili, la tutela della biodiversità, le azioni per mitigare e adattarsi al cambiamento climatico. La visione della sostenibilità è una visione globale, che tiene conto di molto di più che del semplice rispetto per l’ambiente. Si tratta di costruire un modello di sviluppo che nei prossimi 30 anni cambierà, radicalmente e in profondità, il nostro modo di vivere.

L’obiettivo è chiaro, ma da diversi mesi l’Italia, e non solo, sta facendo i conti con un’emergenza pandemica. La sostenibilità può aiutarci ad affrontarla? E la stessa pandemia è un’opportunità per cambiare marcia o un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi dello sviluppo sostenibile?

Come ha ricordato papa Francesco, c’è una sola cosa peggiore della crisi: sprecare l’opportunità che la crisi rappresenta.

Come si fa, allora, a non sprecarla?

Alle radici di questa pandemia c’è una relazione non più equilibrata tra l’uomo e la natura, che va rimessa a posto. Nei momenti di rottura, come questa pandemia, si riparte con un passo diverso, non si può più tornare a fare gli stessi passi di prima. La pandemia porta con sé anche la necessità di adottare un modello diverso, più sostenibile. Se dovessimo proseguire sulla strada fin qui percorsa, le conseguenze anche drammatiche che la pandemia prefigura sarebbero molto peggiori.

Si può dire che l’ambiente è il nuovo nome dello sviluppo e del lavoro?

Noi veniamo da un modo di pensare che per molto tempo ha ignorato il tema ambientale, tanto che nelle Costituzioni europee l’ambiente non è mai citato. Basti far notare che le prime legislazioni ambientali risalgono agli anni Settanta del secolo scorso. Poi si è aperta una seconda fase, più vincolistica, che puntava a mettere le redini al cavallo dell’economia perché frenasse un po’ la propria corsa e non facesse troppi danni. Ma anche questa è una visione inadeguata.

E oggi?

Siamo nella fase che richiede di riconsiderare una relazione positiva con l’ambiente come condizione per lo sviluppo. E’ interessante a tal proposito come la finanza, un settore anticipatore dei fenomeni, abbia già capito che conviene investire sul green. Bisogna però evitare una contrapposizione troppo diffusa.

Quale?

Quando si pensa all’ambiente o si sta dalla parte di Greta, secondo la quale l’ambiente viene prima di tutto il resto e all’ambiente va sacrificato tutto, o in alternativa si dà ragione a Trump, che minimizza la questione. Non va bene né l’una né l’altra posizione.

C’è allora una terza via?

E’ quella, più equilibrata, che indica papa Francesco. Bisogna mettere al centro l’uomo in una relazione più corretta con l’ambiente, perché il degrado ambientale porta con sé altre forme di degrado e di povertà. E qui vorrei lanciare un appello ai cattolici.

Prego.

Se la rivoluzione industriale ha colto un po’ in contropiede il mondo cattolico, sulla rivoluzione sostenibile papa Francesco è arrivato in anticipo, proponendo una visione originale sul tema, indispensabile per non soccombere al dualismo: o con Greta o con Trump. La vera risposta, cioè, sta proprio nell’ecologia integrale, che coniuga sviluppo sostenibile e solidarietà, proposta da Francesco nella sua enciclica Laudato si’.

Veniamo al Forum per lo sviluppo sostenibile, che si apre oggi. Quali sono significato e valore di questo momento sullo sviluppo sostenibile?

E’ un’occasione di riflessione sistematica sul tema, un’opportunità per raccogliere idee e contributi per la strategia regionale che stiamo predisponendo. Parleremo delle sfide alle istituzioni per la ripresa durevole e ci confronteremo con tutti gli stakeholders, a partire non solo da coloro che hanno già sottoscritto il Protocollo per lo sviluppo sostenibile, promosso dall’assessorato all’Ambiente nel settembre 2019, e che ci racconteranno le loro esperienze, ma anche da coloro che intendono sottoscriverlo perché stanno già affrontando la sfida della sostenibilità nell’ambito delle proprie attività, dall’agricoltura alla finanza, dal territorio alle associazioni. Il terzo giorno, infine, ci sarà una riflessione antropologica che sta alla base della sostenibilità: come dice Francesco, non c’è ecologia senza un’adeguata antropologia.

A proposito del Protocollo, che vuole rappresentare la prima concretizzazione delle strategie per uno sviluppo sostenibile, su quali basi poggia?

Le principali linee guida riguardano la transizione dall’economia lineare all’economia circolare, superando il concetto di rifiuto e guardando tutto come risorsa riutilizzabile idealmente all’infinito; il passaggio dall’energia a fonti fossili alle rinnovabili e alla completa decarbonizzazione; la tutela della biodiversità come patrimonio comune collettivo, un tema ancora colpevolmente troppo misconosciuto: se possiamo parlare di società, di economia e di sviluppo è proprio perché siamo in un contesto naturale che rende possibile la vita. Ma questo Protocollo non deve far pensare a qualche foglio di carta che riporta dei princìpi generali che poi rimangono chiusi in un cassetto.

Nel vostro caso?

Abbiamo voluto fare una cosa diversa, soprattutto nel metodo. Già nel programma elettorale della coalizione di centro-destra che sosteneva Fontana, si indicava questo obiettivo: arrivare a sottoscrivere entro il primo anno di legislatura un Protocollo che definisse le linee guida di un modello di sviluppo sostenibile. Abbiamo lavorato con i soggetti che sono i protagonisti di questo sviluppo, in un’ottica sussidiaria.

Infatti Regione Lombardia guarda con favore alla sussidiarietà, alle iniziative che nascono dal basso. Perché?

A fronte di chi pensa, come metodo di governo ai diversi livelli, che un modello di sviluppo sostenibile debba essere teorico, pensato nelle torri d’avorio degli uffici, facendolo poi calare dall’alto sulla società, noi invece riteniamo che questo modello, che rappresenta una disruption con il passato, va costruito attraverso il dialogo con tutti gli attori in gioco, partendo dalle esperienze in atto nella società e condividendo gli obiettivi. E’ un metodo politico che è nel Dna della Regione Lombardia: questi percorsi di cambiamento hanno bisogno di un modello di governo sussidiario. In questo caso, non c’è sostenibilità senza sussidiarietà e non c’è cambiamento senza coinvolgimento di tutti. Non basta una legge, perché se anche ci fosse, senza la consapevolezza di cittadini, famiglie, imprese, enti locali questa transizione non sarebbe possibile.

Il Forum avrà anche un respiro internazionale, e si parlerà del ruolo delle Regioni nella definizione e nello sviluppo di politiche e azioni per la sostenibilità. Perché le Regioni sono centrali in questo percorso?

Lo dice bene l’Agenda 2030: lo sviluppo sostenibile è un tema glocale. Ha bisogno di una visione globale, ma la sua messa a terra avviene a livello locale. Oltre il 70% delle misure attuative dello sviluppo sostenibile sono possibili solo se realizzate a livello locale. Quindi c’è un ruolo cruciale, riconosciuto, delle autorità locali per dare concretezza a discorsi, pur giusti, che altrimenti rimarrebbero astratti.

Può citare un esempio?

Per la Lombardia arrivare dal 17% attuale al 30% di consumo finale di energie da fonti rinnovabili, uno degli obiettivi dell’Agenda 2030, significa entro i prossimi 10 anni, cioè domani mattina, ridurre di un terzo i consumi energetici – da 25 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio a 17-18 milioni – e questo sarà possibile solo se ogni edificio pubblico e privato metterà in atto misure di efficientamento energetico, come il cappotto termico, i doppi vetri o le caldaie a pompa di calore. Ma significa anche aumentare la produzione di rinnovabili, fotovoltaico in testa, realizzando campi fotovoltaici di una dimensione fisica pari a tre campi di calcio per ciascuno dei 1.500 comuni presenti sul nostro territorio. Capisce bene che senza il coinvolgimento e la consapevolezza delle famiglie, delle imprese e delle autorità locali questa transizione sarà impossibile da completare. Per questo è essenziale l’approccio sussidiario e per questo è cruciale il ruolo delle Regioni, che sono la scala territoriale giusta e il livello di governo intermedio più adeguato.

La transizione verde ha però bisogno di investimenti. Quanto potrà aiutare il Green Deal voluto dalla Ue?

Potrà aiutare moltissimo. Ma non avremo tanto un problema di risorse, che ci saranno e in abbondanza. Il mondo è pieno di soldi che aspettano una buona idea: ci sono risorse private già indirizzate verso tecnologie green e ci saranno molte risorse pubbliche, visto che l’Unione europea parla di 1.100 miliardi in dieci anni, con un Next Generation Eu che destinerà almeno il 37% di questi fondi proprio alla rivoluzione verde. La vera sfida sarà avere idee e progetti all’altezza delle risorse disponibili per non sprecarle. E su questo occorre una visione adeguata. Non sempre in passato siamo stati capaci di usare al meglio le risorse, servono progetti di qualità. E proprio a questo livello della sfida cercherà di rispondere il Forum che si apre oggi.

(Marco Biscella)