Il 1973 è ricordato come l’anno di pubblicazione di innumerevoli capolavori della storia del rock, tra questi abbiamo anche il disco della seconda rivoluzione musicale dei King Crimson: Larks’ Tongues In Aspic
L’esordio della prima formazione dei King Crimson emerse come qualcosa di inaudito: la maestosità spesso tragica che il mellotron conferiva alle composizioni, i fiati di Ian McDonald formatosi fuori da contesti rock delle bande militari, la batteria jazz, i testi allegorici di Pete Sinfield immersi in uno stile favolistico/medievale/distopico. Tutto ciò contribuì alla nascita di qualcosa completamente inaspettato.
Questa formazione si sgretola già alla fine del 1969: il chitarrista del gruppo Robert Fripp e il poeta Pete Sinfield decidono di tenere insieme il progetto fino alla conclusione di questa prima tetralogia (Islands) nel 1971: ma il gruppo è sempre più attratto dalla cultura musicale americana e Robert Fripp, ‘il collante’ tra le diverse incarnazioni… lo scioglie.
“La domanda è: potrebbe questa band aver suonato Larks’ Tongues In Aspic? Non in termini di: ‘avevano l’abilità tecnica per suonarlo’? Ma: ‘questa era musica che avrebbero raccolto e portato avanti’? La difficoltà crescente per me era che avevo cessato di credere in questa band, ma non in Crimson. Cioè, cessai di credere che questa particolare formazione potesse ‘dare voce’ a Crimson (con o senza Peter [Sinfield]). Chiaramente, la relazione musicale è sempre stata eccellente, e frequentemente eccezionale. Nonostante le limitazioni tecniche di Boz, solo a causa del poco tempo che aveva potuto dedicare al suo strumento, la sua musicalità e il suo amore puro per la musica non è mai stato in dubbio”.
“L’idea di Larks apparse per la prima volta a metà del 1971 e fu la direzione verso la quale Crimson stava aspettando di muoversi. Questo in contrasto con, per esempio, l’idea di Peter dei Crimson di rivolgersi verso l’area di Miles [Davis]. Nota che, con Peter Sinfield nella band, questo fece quattro membri a uno per quanto riguarda l’inclinazione verso l’America. Larks non può essere inteso strutturalmente (cioè come costrutto musicale) come americano in nessun modo. Certamente appoggia la sua scrittura sulla potenza del rock, ma è peculiarmente (col senno di poi, forse definitivamente) un rock europeo”.
“La domanda musicale è: il mio senso del passo successivo dei Crimson fu confermato dalla musica che la formazione successiva produsse, suonò e registrò? Probabilmente la risposta oggi sarebbe: ‘sì'” (Sid Smith, In the court of king crimson, ed. 2019).
Nell’estate del 1972 Robert Fripp contatta: John Wetton, basso e voce (ex Family) con una grande musicalità potente e sicura, ma anche incline ad un forte lirismo capace di frequentare tutte le sfumature della melodia; Bill Bruford, batterista jazz prestato al rock degli Yes, che lascia nel momento del successo con il disco ‘Close To The Edge’ per entrare nella nuova formazione dei King Crimson. Come contraltare di Bruford, viene contattato Jamie Muir: percussionista facente parte della scena dell’avanguardia musicale londinese dell’improvvisazione radicale, l’uomo che riesce a mettere qualsiasi cosa al servizio della musica: dai secchi di fango, alle catene delle biciclette, dal rumore delle foglie che cadono, a fischietti, cinguettii e campanelli. Infine il violino del giovane David Cross proveniente dalla musica classica contemporanea, con riferimenti jazz come Jerry Goodman, Sugarcane Harris, Jean-Luc Ponty. Cross non batterà la strada principale del violino mutuato dal country, dando così un originalissimo contributo. Per i testi, in questa occasione, provano a dare l’incarico ad un componente interno al gruppo. Muir: “Ci ho provato, ma era assoluta spazzatura. Era terribile, qualcosa di gotico, ero intensamente imbarazzato per questo e gentilmente declinai l’offerta” (Sid Smith, In the court of king crimson, ed. 2019).
Si rivolgono, allora, al vecchio amico di Wetton: Richard Palmer-James che aveva lasciato i Supertramp nel 1971 ed era andato a vivere in Germania.
Nel settembre 1972 una simile compagine di elementi eterogenei incomincia così a provare a sviluppare una nuova musica. E l’”inaudito” della prima incarnazione riaccade. I riferimenti vanno dalla Sagra della primavera di Stravinsky, a Bartok, echi di musica indiana, i primi lavori sulle scali esatonali, ottatonali, l’ammirazione per la Mahavishnue Orchestra di John McLaughing: come poter trovare una parola che possa descrivere tutto ciò? Jamie Muir rispose: LARKS’ TONGUES IN ASPIC (qualcosa di etereo racchiuso in qualcosa di solido) e Fripp la riconobbe non solo come l’anima delle due composizioni principali, ma dell’intero progetto.
La strumentazione rimane in equilibrio tra la potenza del basso e batteria e la delicatezza delle percussioni e violino, quest’ultimo interverrà in maniera meno invadente dei fiati del periodo precedente. La musica sarà più una musica da camera che sinfonica. Un approccio minimalista rispetto al precedente più barocco: questa asciuttezza del linguaggio si ritroverà anche a livello dei testi di Palmer-James, fino alla grafica della copertina del disco con un semplice disegno di un sole che abbraccia una luna dentro una sottile cornice ai bordi del quadro. A questo punto rimane molto più spazio per l’aspetto ritmico in primo piano nell’integrazione tra batteria e percussioni.
Ecco i commenti di Bruford sul suo lavoro con Muir: “Definiamo le varie aree in cui suonare – per esempio nella maggior parte del tempo lui suona strumenti non convenzionali. Io posso suonare la metà degli accenti, mentre lui suona raddoppiandoli. Ci sono molti modi differenti in cui possiamo impiegarlo; possiamo perfino suonare all’unisono il che rende tutto molto più pesante. In pratica, Jamie la maggior parte del tempo, scorre sopra la musica, mentre John ed io la ancoriamo giù.” (Sid Smith, In the court of king crimson, ed. 2019).
“Jamie mi piaceva molto, sebbene fosse, diciamo leggermente sgarbato nel dire cosa pensava dei talenti del giovane e arrogante batterista di cui si tessevano troppe lodi e che arrivava dagli Yes. Mi insegnò a provare a guardare restando lontano dai piatti: i batteristi possono essere assai miopi. Ci teneva a sottolineare – e questa la considero la mia prima lezione di drumming, e la migliore – che io esistevo per servire la musica e non il contrario”. (Bill Bruford Autobiografia alla batteria 2009). “Pensava solo che mi stessi mettendo in mostra con la batteria. E aveva ragione. Fino a quando non ho incontrato Jamie, pensavo che la band esistesse per divertirmi; Non avevo realizzato che esistevo per cercare di far funzionare la musica. Ero un tipico batterista troppo sicuro di sé, forse troppo tecnico, determinato a mettersi in mostra per la maggior parte del tempo. Ero molto giovane! Molto giovane. Chiedo scusa”. (Bill Bruford, intervista Rolling Stones 29 ottobre 2019).
I nuovi King Crimson tagliano i ponti con la produzione passata e scommettono tutto sulla nuova musica che man mano si coagula durante le prove. In concerto hanno sempre usato momenti di improvvisazione come ‘brodo di coltura’ per lavorare su nuove idee, ma adesso compiono il salto anticommerciale di non suonare niente (a parte il bis di ’21st Century Schizoid Man’) del repertorio precedente, così il pubblico si trova davanti a interi concerti basati su improvvisazioni collettive, a volte senza neanche un centro tonale.
Nell’announcement Fripp presenta i concerti facendo riferimento al fatto che questi si svolgono tra due punti sicuri: il primo brano Larks Part 1 e l’ultimo brano che chiude il concerto Larks Part 2, in mezzo tutto il resto tra cui alcune canzoni: ascoltando i concerti dell’autunno 1972 possiamo infatti cogliere la lavorazione di frammenti poi lasciati cadere come momenti sudamericani, melodie medievali, o ripresa di idee del 1971 che troveranno posto nel successivo disco a Larks (‘Starless And Bible Black’) o nel conclusivo ‘Red’ del 1974.
Oltre a ciò è possibile seguire la maturazione delle canzoni con inserti di sezioni o sviluppo di parti preesistenti per tutto l’autunno fino a dicembre. Esiste anche una testimonianza video registrata nello studio di Bremen il 17 ottobre 1972: mezz’ora di improvvisazione (The Rich Tapestry Of Life) seguita da Exiles e Larks 1. John Wetton: “Molte volte il pubblico non poté veramente capire la differenza tra la musica scritta e improvvisata, perché le improvvisazioni erano di uno standard piuttosto alto. Era quasi telepatico a quei tempi. Dovevi automaticamente conoscere ciò che l’altra persona stava per fare e quando lo stava per fare. Straordinario. Questo tipo di cose non accade molto spesso”. David Cross: “penso che la musica che venne fuori dai Crimson fu puramente il risultato di persone preparate ad ascoltarsi l’un l’altro perfino senza provenire necessariamente dallo stesso ramo dell’albero”. Jamie Muir : “L’essenza fu che eravamo cinque musicisti che portavano le proprie qualità e doni e ancora provavano a trovare una strada per saldarle tutte assieme in un’unica distinta personalità” (Sid Smith, In the court of king crimson, ed. 2019).
Nella sua autobiografia, Mauro Pagani, quando racconta la registrazione di Photos Of Ghosts della PFM negli stessi studi dei Crimson, scrive della sua meraviglia: “Vengo travolto da una cascata di suoni che svolazzano misteriosi nell’aria attraverso una grande porta imbottita. Suoni bellissimi e soprattutto diversi da tutto ciò che mi sarei aspettato di sentire. Quando il brano finisce rimango immobile per un po’ (…) dopo qualche secondo sento la musica ripartire: stesso brano, stesso incantato stupore. Mi fermo, mi siedo su un gradino e lo riascolto tutto. Quando dopo qualche mese uscì Larks’ Tongues In Aspic corsi a comprarlo. Appena la puntina partì riconobbi all’istante la scintillante colonna sonora di quel magico pomeriggio di gennaio”. (Mauro Pagani, Nove vite e dieci blues, un’autobiografia, ed. 2022).
Larks diventerà una lotta tra opposti, un dibattersi con tratti ora aspri e tesi, ora un crescendo di melodie purissime fino al trionfale finale della Larks 2.
Dopo aver sedimentato le nuove idee i Crimson entrano in studio i primi giorni di gennaio 1973 registrando una scaletta studiata nell’attività live: inizio e fine con le Larks.
Larks’ Tongues In Aspic Part 1
Il brano manifesto del periodo è costituito da una serie di sezioni che si succedono linearmente senza ripetizioni, come i capitoli di un romanzo. Si parte con un’introduzione di campanelli alla Steve Reich per accedere al riff in 10 ottavi (3+3+2+2) del violino, per poi passare ad una sezione in cui compare un arpeggio su esatoniche che toglierà il fiato al protagonista di questa narrazione; poi nella sezione successiva è il basso a rimanere sotto i riflettori, quando la saturazione arriva al culmine approdiamo al grande vuoto in cui nuota senza riferimenti la sezione di violino e glockenspiel con le sue delicate melodie orientali; l’inquietante ripresa dal sogno del violino riprende con il dieci ottavi e una melodia spigolosa che accumula tensione fino al grande rilascio finale. Un viaggio senza ritorno di tredici minuti e mezzo, un sogno da cui svegliarsi tutti sudati.
Book Of Saturday
Il primo dei tre brani cantati: abbandonato lo stile allegorico di Sinfield il tono si fa intimistico: la descrizione di una storia d’amore prima durante e dopo: “una sorta di approccio cubista; la combinazione di differenti punti di vista nello spazio e nel tempo nella speranza di avvicinarmi alla storia nella sua interezza”. “Ogni volta che provo a lasciarti, tu ridi come al solito” (…) “tutta la pienezza del mattino, addormentata al tuo fianco” (…) “fai della mia vita, di ogni momento, un libro di sabati malinconici, e io devo scegliere…” Una canzone d’amore, una canzone semplice, con una melodia sorretta da un arpeggio ricamato con la chitarra. Eppure con una stranezza che la fa entrare in testa anche a distanza di anni: è un piccolo accorgimento tecnico: la strofa è in quattro quarti, il ritornello in cinque, con quel quarto in più di attesa e sospensione.
Exiles
Proveniente dalla farina di David Cross il richiamo nostalgico della melodia è colto perfettamente dal testo sull’esilio in cui Palmer-James fotografa l’esperienza del suo personale soggiorno in Germania nel momento in cui si accorge che il suo legame con l’Inghilterra stava affievolendosi e prendeva consapevolezza che non avrebbe più desiderato tornare a vivere in patria: “questo pensiero fu sia eccitante che doloroso”.”me ne sono dovuto andare” (…) “sebbene adesso questa altra, miglior vita, ha portato una diversa comprensione” (…) (…) “Essere da soli non è una ferita”.
La melodia è preparata da una sezione preesistente misteriosa e drammatica come un luogo onirico fuori dal tempo, che poi sfocia nella nostalgia del cantato, ripetuto lo schema si apre una bellissima sequenza armonica di accordi al pianoforte (nota1) su cui si appoggeranno il cantato e il contrappunto di violino, per poi tornare infine alla melodia principale e chiusura.
Easy Money
Terzo ed ultimo brano cantato con una parte strumentale di chitarra lunga la metà del brano fino alla ripresa del cantato finale. Questa volta è il cinismo dei personaggi che popolano il mondo del music business (il grande tentatore nella vita di un artista) ad essere oggetto delle liriche sarcastiche. “Non avresti saputo riconoscere un vincitore da un bugiardo, ma tu fai sempre soldi facili, soldi facili” (…) “ingrassi sulla tua stella fortunata, facendo soldi facili”. Si tratta di un blues camuffato. Anche qui c’è un accorgimento tecnico sulle due battute in quattro quarti (totale: otto quarti) su cui si stende ogni verso della canzone: il cantato dura solo sette (degli otto) quarti in modo che, se il primo verso incomincia in battere, il secondo verso incomincia in levare sull’ultimo quarto della seconda battuta (in anticipo a quanto l’ascoltatore si aspetterebbe). La parte strumentale di chitarra parte da una situazione di rarefazione come se osservasse la scena fuori dal tempo ed accumula tensione fino alla ripresa tesa dell’ultima strofa con l’ingresso del violino che esplicita il blues del pezzo. Le parti di percussioni di Jamie Muir si esprimono qui al massimo livello e aggiungono un’ulteriore dimensione quasi un fattore coessenziale della magia del brano con le sue secchiate di fango, campane, rumori da cartone animato, lamiere, strappi di scotch, risate meccaniche…
Nel cofanetto ‘Larks’ Tongues In Aspic The Complete Recordings’, oltre alle registrazioni dei concerti dell’autunno ’72 che portarono alla nascita del disco, è presente anche una traccia isolata delle sole percussioni che ne esaltano il valore compositivo.
The Talking Drum
Questo strumentale di sette minuti e mezzo è costruito su una parte ostinata di batteria e basso che, giusto per minare ogni certezza di un terreno solido nell’ascoltatore, si alterna su un intervallo di tritono. Parte da un pianissimo in cui si percepiscono le talking drum africane di Muir fino ad un fortissimo, dopo sette minuti e mezzo, interrotto da grida impossibili prodotte da trombette per le biciclette soffiate al contrario. Nel mezzo si sviluppa la melodia del violino su scala frigia con quarto grado abbassato (nota2) che fa pensare immediatamente ad un contesto esotico/indiano. Il violino parte da uno stato d’animo “inconsolabile”, per proseguire attraverso un incremento sempre maggiore della tensione con un gioco ritmico sempre più insistito di accenti sui semitoni della scala; a metà avviene l’ingresso della chitarra che improvvisa in contrappunto col violino fino a quando la tensione raggiunge il suo massimo e viene brutalmente troncata dalle grida isteriche delle trombe.
Un brano che potrebbe vivere di propria autonomia, ma che nel contesto diventa preparatorio alla successiva.
Larks’ Tongues In Aspic Part 2
Brano manifesto dei nuovi King Crimson, mantiene, rispetto alla prima parte il tempo di dieci ottavi, ora non più ritmati dal violino, ma da un accordo distorto di quarta della chitarra: “Hendrix che suona Bartok” in questo caso Stravinsky: la Sagra della primavera. Mentre Larks 1 è costituita da uno svolgimento lineare di quadri esposti senza ripetizione, questa seconda parte, all’opposto, è costruita con l’alternarsi ciclico di due sezioni che si interrompono a vicenda fino all’ingresso di un bridge che conduce all’ultima definitiva ripresa.
La prima sezione costituita dalla ritmica di accordi viene intervallata da accennati arpeggi su tritoni (giusto per lasciare l’ascoltatore sulle spine), fino ad accedere alla seconda sezione con un carattere lirico, che si contrappone all’asprezza brutale della prima, su scala ottotonica (nota3), una melodia pura che ricorda l’incipit della Sagra. Nello specifico di questo brano come più in generale nell’intero album, Fripp sviluppa le tecniche che userà spesso durante la sua carriera futura, come creare tensione sviluppando una cellula musicale e ripeterla ogni volta un grado più alto della scala in un processo lento… ma inesorabile.
Ascesa è infatti la caratteristica di Larks 2, un’ascesa della sezione lirica dapprima parziale perché interrotta dal ricorrente ingresso della sezione di aspri accordi (con meno evidenza, ma pur sempre ascendente), fino all’assolo del violino immerso nell’angoscia della lotta per la sopravvivenza tra il tentativo di raggiungere la cima e rovinose cadute, fino al decisivo assalto finale; dopodiché riprende l’ultima ascensione con tutta la band e termina nel trionfo di accordi maggiori del gran finale del brano e di tutta l’opera.
Robert Fripp sul brano di Larks 2, dà un giudizio che potrebbe estendersi all’intero disco: “Larks 2 come scrittura, si riferisce al paradosso di essere simultaneamente dentro i mondi condizionati e incondizionati. Questo spiega parzialmente la rappresentazione delle contraddizioni, forme di soluzioni, desiderio, perdita, rabbia e disperazione, evoluzione, arrivo e tregua. La metafora (musicale) dell’unione fisica è particolarmente ovvia (veramente?) durante la sezione ascendente (10/8 con, in apertura, una battuta in 11/8 per scardinare il ritmo e introdurre un doppio downbeat). ‘The nascent soul’s journey into light’ potrebbe essere un titolo descrittivo più letterale, ma non avrei avuto il coraggio di usarlo nel 1972; e neanche oggi probabilmente”.
Quando finiranno la registrazione, Muir si ritirerà in un monastero buddhista, e così da febbraio ripartiranno i concerti di un gruppo ormai ridotto a quartetto.
A primavera 1974, dopo la pubblicazione di ‘Starless And Bible Black’ comincerà il tour americano documentato nel cofanetto ‘The road to Red’. Senza le percussioni di Muir, il sound si sbilancerà dalla parte della sezione ritmica con un Wetton che alzerà sempre di più il volume: chi rimane fuori è il violino di Cross sempre più emarginato musicalmente ed umanamente e allontanato alla fine del tour. Sempre Bruford nella sua autobiografia: “Due anni di tournée massacranti più l’estenuante esercizio fisico della sezione ritmica stavano indebolendo David. L’intonazione di un violinista dipende da ciò che riesce a sentire intorno a sé, e Cross viveva in un mondo sempre più complicato da pesanti distorsioni, fuzz bass e mellotron”. Il trio rimasto si ritroverà in studio per registrare l’ultimo disco di questa trilogia: ‘Red’. Parteciperanno Mark Charig (cornetta) e Robin Miller (oboe) già ospiti in Lizard; Mel Collins, “il protagonista” delle formazioni della prima fase, al sassofono [tornerà nell’ultima formazione 2014-2021] e, colonna portante della prima formazione, Ian McDonald (sempre al sassofono).
Le registrazioni saranno guidate principalmente dal duo Wetton e Bruford a fronte di un Fripp sempre più distaccato e prossimo ad abbandonare il mondo della musica. Con ‘Red’, tuttora nel cuore di molti fan, si chiude l’epoca della seconda rivoluzione; con questo potente e tragico canto del cigno, King Crimson cessò di esistere.
Per ritornare negli anni ’80 per la terza rivoluzione.
Bibliografia consigliata
Sid Smith, In the court of king crimson, ed. 2019.
Lelio Camilleri, Gelatine sonore – guida all’ascolto di Larks’ Tongues In Aspic dei King Crimson, ed 2018.
nota 1: sequenza armonica del bridge di Exiles.
Re con quarta eccedente, Fa# min, Sol (senza la terza), Fa# min, Si min 7 (con quarta in alto, Mi). La min con aggiunta della nona (Si), Sol min, Fa#, Fa# dim, Sol (senza terza), Fa#, Si bem che risolve in Re. Un grande ringraziamento all’amico Roberto Bartolini per la decifrazione della sequenza armonica.
nota 2: scala frigia con quarto grado abbassato:
tonica, semitono, tono, semitono, un tono e mezzo, semitono, tono e infine l’ultimo tono.
nota 3: scala ottotonica, tonica, tono, semitono, tono, semitono, tono, semitono, tono.
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