Il processo per l’omicidio di Laura Ziliani è cominciato giovedì 27 ottobre di fronte alla Corte d’Assise di Brescia. Presenti in aula le figlie della vittima, Silvia e Paola Zani, con Mirto Milani, fidanzato della prima e amante della seconda, reo confessi. Sono accusati di concorso in omicidio e occultamento di cadavere, ma c’è anche l’aggravante della premeditazione, visto che ci sarebbero stati almeno cinque episodi in cui il “trio diabolico” avrebbe tentato di sedare l’ex vigilessa di Temù, in Valcamonica, per ucciderla. Sette invece i testimoni citati dal pm City Bressanelli, tra cui Marisa Cinelli, mamma di Laura Ziliani e nonna delle due figlie imputate. «Quando ho visto le mie nipoti a Temù piangevano, ma mi hanno sempre dato l’impressione di essere poco preoccupate», ha raccontato in aula. Lei è stata la prima a nutrire sospetti che la figlia Laura, data inizialmente per scomparsa, non fosse mai uscita da casa sua. Una verità ripetuta in aula. «Nelle settimane successive sono stata ricoverata, stavo male, non riuscivo a uscire dal letto».



Aveva intuito qualcosa anche Riccardo Lorenzi, fidanzato della vittima, che già un mese prima della scomparsa della compagna aveva cominciato a nutrire dei sospetti sulle figlie della compagna. Era il 16 aprile. Dopo una cena a base di pesce a cui parteciparono Laura Ziliani, le due figlie e il fidanzato della maggiore, la prima ebbe una fase di sonnolenza e spossatezza. Come poi emerso dalle indagini, sarebbe stata una sorta di prova generale dell’omicidio che si è consumato tre settimane più tardi, con l’uso di benzodiazepine in un dolce per stordirla, e poi soffocarla.



“PER LA DIFESA C’È POCO DA DISCUTERE”

Tra i teste ascoltati anche Paola, la donna che con la sua testimonianza ha fatto riavviare le ricerche che hanno portato alla svolta nelle indagini. «Era la tarda mattinata di sabato, ero a fare una passeggiata con la mia famiglia lunga la ciclabile. Mio marito ha guardato dal ponte notando qualcosa. Ci siamo sporti e abbiamo visto che era una scarpa, lo abbiamo capito subito perché era molto colorata. Ci siamo avvicinati e abbiamo visto che era una scarpa e soprattutto da donna. Quindi, abbiamo chiamato i carabinieri, poi avendo seguito il caso abbiamo collegato subito…». Per la criminologa Roberta Bruzzone, la difesa ha poco margine di manovra: «Questo è un processo che è già chiuso. Si deve celebrare perché i giudici devono acquisire tutte le informazioni, ma di fatto non mi aspetto alcun tipo di sorpresa. La strategia difensiva è assistere alle varie udienze e poco altro, qui c’è poco da discutere». Inoltre, non ci si poteva neppure aspettare una redistribuzione delle responsabilità: «C’è talmente tanto materiale che converge sul coinvolgimento tutti e tre, anche se con lievi differenze di intenti, ma la posizione delle sorelle è più aggravata solo perché sono le figlie. Ma il capo di imputazione non permette divisioni di responsabilità. Il progetto criminale è condiviso».

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