In una rara intervista con il Corriere della Sera, l’attaccante e capitano dell’Inter Lautaro Martinez si è lasciato andare ad un lungo racconto sulla sua (certamente difficile) infanzia nella povertà assoluta che – in qualche modo – è diventata una sorta di profondissima motivazione per riuscire ad eccellere in quello che fin da piccolo era certo sarebbe stato il suo sogno, peraltro condiviso anche con suo padre che – purtroppo – non è mai riuscito a sfondare: il racconto di questo inedito Lautaro Martinez – non a caso – parte proprio dal ricordare che quando era piccolo il Natale in famiglia era molto diverso da quello dei suoi figli, vissuto interamente attorno alla certezza che “i miei genitori lavoravano tutto l’anno per poter regalare qualcosa a me e mio fratello”.



Un infanzia nella quale Lautaro Martinez ricorda che “abbiamo vissuto periodi difficili” senza neppure potersi permettere di pagare l’affitto – tanto che racconta che “abitavamo in una casa che ci hanno prestato” – e della quale non ha paura a dire che “non avevo niente [e] a volte non sapevo dove avrei dormito la sera“; il tutto salvo poi precisare che comunque queste sono esperienze che “ti legano ai tuoi familiari” e ti fanno capire l’importanza degli sforzi e dell’impegno, sottolineando in particolare che “sono cose che mi hanno marcato come uomo” e che cerca costantemente di “trasmettere in campo” quando marca stretto il pallone e i suoi avversari.



Lautaro Martinez: “A 15 anni fui cacciato dal Boca Juniors perché non ero né veloce, né potente”

Rimanendo sempre nel tema della sua difficile infanzia, Lautaro Martinez ricorda anche che “il sogno di diventare calciatore come mio padre l’ho sempre avuto” allenandosi fin da quando era bambino, ma trovandosi anche a scontrarsi contro il muro di una “prova al Boca Juniors” dalla quale fu “cacciato” perché – dicevano – “non avevo né velocità, né potenza”: in quel momento decise di “lasciare il calcio e cominciare a lavorare”, ma a fine anno “è arrivato il Racing, offrendomi un altro provino” che accettò a condizione di non dover più fare nessun tipo di prova e – fortunatamente – “mi hanno preso”.



Quelli – peraltro, ricorda ancora Lautaro Martinez – furono anche gli anni della malattia del fratello che gli fu comunicata dai genitori solamente “quando era già uscito dall’ospedale” per evitare che si distraesse dal suo eterno sogno di diventare calciatore; ma anche gli anni in cui fu costretto ad andare dallo psicologo perché “all’esordio in prima squadra ho preso due gialli in due minuti per due scivolate” vivendo le partite come delle vere e proprie “battaglie perché volevo sempre dimostrare qualcosa“.