La sociologa Judy Singer, nota come “la madre della neurodiversità” perchè per prima ha utilizzato questo termine per definire la naturale variabilità della mente umana in riferimento ad alcune funzioni cognitive e sociali, ha anche rivoluzionato gli studi sull’autismo ristabilendo alcuni presupposti e ponendo la condizione in un ampio raggio di sfumature e definizioni che non sono facilmente identificabili allo stesso modo. Il quotidiano The Guardian ha pubblicato in un articolo alcune tra le opinioni più autorevoli e teorie più recenti formulate da esperti per cercare di prendere consapevolezza del significato del termine neurodiversità, e di come sia cambiata la percezione sociale di chi viene giudicato in un certo modo come “diverso”.



Le diagnosi dei disturbi dello spettro autistico sono aumentate di sette volte, solo in Gran Bretagna negli ultimi 20 anni si stima che un bambino su 36 potrebbe essere affetto da questo tipo di problema. Ma come sottolinea Judy Singer “Non si tratta sempre di una condizione che rende disabili e diversi“, spesso infatti questo problema può essere definito anche come un tratto della personalità, che deve essere esente da etichette perchè “L’autismo non è affatto una condizione unitaria“.



Il problema dell’esclusione sociale delle persone autistiche

La disgnosi di autismo spesso comporta un problema sociale dell’essere visti come diversi, i soggetti che ne sono affetti tendono infatti a sentirsi come “disabili” e questo, secondo Judy Singer, rappresenta un ostacolo perchè, già da parte dei medici vengono imposte etichette “disumanizzanti”. Per questo motivo la sociologa esorta a “ripensare l’autismo” in un processo di consapevolezza che paragona a quello per la conquista dei diritti civili da parte dei neri d’America.



Ci sono infinite variabili nella neurodiversità all’interno della popolazione umana“, e come afferma Judy Singer, il termine viene ampiamente frainteso ed usato in modo improprio. Con l’aumento delle diagnosi è cambiata un po’ la percezione di questa “malattia”, se infatti prima si pensava che tre autistici su quattro soffrissero di disturbi dell’apprendimento, ora si è potuto accertare che in realtà la disabilità intellettiva colpisce solo un soggetto su quattro. Bisogna quindi rivedere l’esclusione dalla società che comporta la diagnosi di autismo, perchè in questo modo si potrebbero prevenire anche i suicidi, avvenuti quasi sempre a causa di un ambiente esterno ostile, che non accoglie i bisogni emotivi e le esigenze sociali delle persone autistiche.