Fare automobili non è semplice. Farle per qualcun altro sembra essere ancora più complicato. Si spiega così il dietrofront di Hyundai che, dopo aver confermato le trattative con Apple per realizzare un’auto elettrica a guida autonoma con il marchio della Mela, nei giorni scorsi ha smentito se stessa dichiarando che non ci sono colloqui in corso. A parte l’inevitabile crollo delle azioni schizzate alle stelle (+61%) dopo le prime indiscrezioni confermate dalla casa automobilistica coreana, la vicenda dimostra da una parte come gli Over The Top dell’industria informatica abbiano rinunciato ad allestire in proprio una struttura in grado di progettare, testare e realizzare automobili, mentre dall’altra resta il mal di pancia dei costruttori che, legandosi mani e piedi a un colosso informatico, si trasformerebbero in  uno dei tanti fornitori di hardware con margini che andrebbero sempre di più restringendosi. Insomma, la domanda che gira tra i piani alti di costruttori con una tradizione di almeno un centinaia di anni alle spalle, capacità tecniche difficili da eguagliare e una rete commerciale mondiale è più o meno questa: perché dovrei trasformarmi in una qualsiasi Foxconn (il produttore cinese degli iPhone di Apple), sostituibile al primo problema?



Certo, accordi del genere fanno salire il valore dell’azione nel breve periodo, portano fama e attenzione mediatica, ma nel giro di qualche anno rischiano di pesare oltre il dovuto. Tutto dipende, naturalmente, dal contratto che si deve firmare. È un’esclusiva? Per quanti anni? quanto vengono pagate le automobili prodotte? Di chi sono i progetti realizzati? Chi si prende il rischio per la costruzione dei nuovi impianti? E soprattutto, chi sarà il padrone dei megadati, il nuovo petrolio secondo molti, che proverranno dalle automobili prodotte in circolazione? 



Su quest’ultima barriera si sono infrante le decine di trattative che sono state avviate negli ultimi anni. Tutti hanno parlato con tutti. Non c’è stato un costruttore che non sia stato contattato e una grossa industria tecnologica che non si sia fatta avanti, ma alla fine la maggior parte degli accordi ha previsto solo la fornitura di un parco rilevante di auto a prezzi concordati per testare di comune accordo la guida autonoma che è la sola cosa che interessa gli Over The Top. L’auto deve essere elettrica per seguire il trend di un certo tipo di mercato, ma quello che interessa davvero è il tempo passato nell’auto senza null’altro da fare. Si chiama “Passenger economy” e Intel già tre anni fa stimava un valore del business superiore ai 7.000 miliardi di dollari nel 2050, una parte dei quali derivanti dall’uso di servizi online durante la guida e dai dati che derivano dall’uso dell’auto.



Le case automobilistiche e, forse, anche tutti noi siamo davanti a un bivio a domandarci cosa sarà l’auto del futuro. Al di là delle enormi difficoltà tecniche legate alla guida autonoma, l’automobile sarà una commodity o uno status symbol? Ci sarà ancora il piacere di possedere un’auto o la condivideremo senza nessun problema con degli estranei? Guidare sarà un piacere o un’inutile rottura di scatole? La libertà di movimento legata alla propria auto è un concetto superato dai tempi o ancora attuale? 

Nessuno ha la palla di cristallo, ma non andiamo molto lontano dal vero se diciamo  che non c’è e non ci sarà per anni una risposta univoca a queste domande. Dipende dal contesto in cui si vive, dall’età dell’utente, dalla sua capacità economica e da decine di altri fattori. Ma le case automobilistiche debbono in ogni caso prepararsi ad affrontare i cambiamenti e già lo stanno facendo. Magari senza crederci molto, ma lo stanno facendo. Tutti hanno un car sharing, tutti studiano e implementano la guida autonoma, tutti, o quasi, stanno pensando di realizzare in proprio la parte elettronica delle vetture. Chi resterà indietro avrà sempre la possibilità di trasformarsi in un fornitore di qualcun altro che ancora sul mercato non c’è, ma ci vuole assolutamente essere.