C’è sostenibilità e sostenibilità. Il forfait di sir James Dyson, il magnate inglese famoso per aver reinventato gli aspirapolvere, dimostra che il business delle auto elettriche non funziona. Per quattro anni il baronetto ha pagato quattrocento specialisti incaricati di seguire il progetto del suo veicolo a zero emissioni, prima nella sede centrale di Malmesbury, nel Sud-Ovest dell’Inghilterra, poi a Singapore. Aveva annunciato inedite batterie, la produzione in proprio di accumulatori sia agli ioni di litio, sia allo stato solido, un design avveniristico per un’auto che sarebbe dovuta andare a fare concorrenza alla più costosa delle Tesla, con un prezzo vicino ai 150 mila euro. Aveva persino acquistato per 85 milioni di sterline un vecchio aeroporto in disuso a Hullavington, nello Wiltshire, per testare i suoi veicoli e promesso di produrre almeno tre veicoli “alla spina” da lanciare a partire dal 2020. Ma alla fine ha dovuto gettare la spugna: la produzione non è sostenibile, ha detto mettendo finalmente l’accento sulla parola sostenibilità che, a suo e nostro parere, non significa solo sostenibilità ambientale, ma anche economica.
«Nonostante i nostri grandi sforzi durante il processo di sviluppo, semplicemente non vediamo più come renderlo fattibile dal punto di vista commerciale», ha spiegato Dyson in una mail ai dipendenti raccolta dal Financial Times. «Abbiamo intrapreso un percorso serio per trovare un acquirente per il progetto che, sfortunatamente, finora non ha avuto successo». Quando l’ex ceo di Fca Sergio Marchionne diceva che non c’era modo di guadagnare producendo auto elettriche e invitata i clienti a non sceglierle dicendo che, ogni volta che ne vendeva una, perdeva un mucchio di dollari, si poteva pensare che il ritardo tecnologico della vecchia Fiat fosse il motivo di quella boutade. Ora che lo dice Sir John Dyson, che all’auto elettrica ci credeva ed era disposto a investirci miliardi, vale la pena di cominciare a ragionarci.
Forse non si può fare davvero. O meglio si può fare, ma non ci si può guadagnare. E finora non lo ha fatto nessuno. Anzi. Bastano due esempi. Tesla negli ultimi 15 anni non ha mai fatto un dollaro di utile. Nonostante abbia venduto i California Zev credit (Zero Emissions Vehicle Standard che permettono di vendere auto a benzina senza avere veicoli elettrici nella gamma) alle altre case automobilistiche per oltre 2 miliardi di dollari, Tesla ha messo insieme dal 2004 una perdita complessiva di 5 miliardi, uno dei quali solo lo scorso anno. Ma meglio (o peggio) ha fatto la Nio, l’azienda che viene considerata la Tesla cinese, con sede a Shangai, che è riuscita a perdere 5,7 miliardi di dollari dalla sua fondazione nel 2014, solo quattro anni fa.
C’è un solo modo per fare i soldi con le auto elettriche: quotare le aziende che le producono. Lo sa bene Elon Musk, deus ex machina di Tesla, che nel 2010 e negli anni seguenti ha venduto l’80% della società: nel 2010 la sua società era valutata in totale circa 3 miliardi di dollari, oggi il 20% che ancora possiede Musk ne vale quasi 9, ma è anche arrivato a valerne 13. Anche la cinese Nio cercato di seguire la stessa strada: lo scorso anno ha raccolto un miliardo di dollari a Wall Street quotando le sue azioni a 6,25 dollari. Oggi il loro valore veleggia intorno al dollaro e mezzo.