Si può parlare di miglioramento in tempi in cui l’unico miglioramento auspicabile sembra essere quello del ritorno a una normalità purchessia? Facciamo che la risposta sia sì dopo i cinque interessanti contributi di Giorgio Chiosso.

Giova ricordare in tempi di turbocambiamenti (spesso è solo calcio parlato…) che – almeno per come fin qui si è storicamente definita – la scuola è istituzione chiamata a ricordare e a trasmettere e non a innovare, se non per trasmettere meglio. Peraltro il miglioramento, che è un’innovazione in positivo, non è necessario, e si può anche peggiorare. Stare fermi, nel senso di ripetere automaticamente il passato con felice esito, è però impossibile, anche se ripetere il passato consapevolmente può essere una scelta anche vincente e che perciò migliora.



Di miglioramento si parla sempre per i livelli bassi e con questo i licei pensano di esserne esentati (peraltro non per merito loro, ma di chi li frequenta). È una tendenza diffusa nell’Occidente, ma particolarmente virulenta da noi per il combinato disposto dell’eredità di quello che una volta si chiamava catto-comunismo, rigoglioso in una società senza borghesia.



Perciò il miglioramento, per come se ne parla in Italia oggi, non riguarderebbe tutti, ma si presenta come tensione verso la massima eguaglianza possibile e non ci si preoccupa affatto se essa si realizzi in basso oppure no.

Nessuno perciò parla della nostra mediocrità fra gli alti livelli di apprendimento, che non è solo un problema del Sud, ma anche del Nord. Nei primi rapporti Pisa che avevano a fuoco la Lombardia anche i migliori studenti italiani in matematica – licei Nord Lombardia – non avevano risultati all’altezza dei coetanei di pari livello economico-sociale dei paesi a noi affini. Da allora l’impressione è che non sia cambiato molto, ma mancano ricerche significative in proposito, se non ricerche tout court. Eppure di élite c’è bisogno, come hanno dimostrato le vicende del Quirinale.



Ma la retorica dice che noi straripiamo di geni individuali (naturalmente le banali valutazioni nazionali e internazionali non li intercettano). Dove sono infatti questi geni naturali quando si tratta di rispondere alle domande Pisa e/o Invalsi? A casa ad approfondire argomenti alla loro altezza?

La prova della loro esistenza sarebbe che poi scappano all’estero, dove sono ottimamente accolti. All’estero i nostri giovani geni ci vanno perché era ora che l’Italia non mandasse a Londra e a New York solo pizzaioli e muratori, per non parlare dell’Europa, in cui fino a pochi decenni fa le nostre quote di personale da assumere erano saturate da uscieri e professionalità similari. Non è detto che la massima aspirazione di ogni bennato italiano debba essere quella di stare attaccato a mamma a mangiare la pasta e allevare i nipoti.

Intendiamoci, i sistemi anarchici non danno solo risultati negativi: lasciano molto indietro le “masse”, ma possono anche permettere il più libero fiorire dei dotati naturalmente o socialmente. Mentre in quelli molto regolati fiorisce la medietas, ma trova ambiente meno favorevole l’eccezione. Ecco un altro bel tema di approfondimento per i nostri ricercatori.

Del resto, non è necessario andare in America Latina: le differenze fra il nostro Nord e il nostro Sud sono lì da vedere, non solo nei risultati assoluti, ma anche nell’equità dentro e fra le scuole.

Del Sud scolastico si parla da due decenni, da quando Pisa e Invalsi hanno falsificato la teoria della “scuola a macchie di leopardo”. Ma non si vedono grandi progressi in termini, appunto, di miglioramento. Del resto, questo è un problema internazionale: i miglioramenti, dice anche l’Ocse, sono lenti e difficili.

Ma due cose si potrebbero dire. Tutti i sistemi scolastici poco efficaci sono caratterizzati da una forte polarizzazione fra i figli delle élite e gli altri. È la situazione del nostro Sud, in cui le élite cercano in ogni modo il privilegio: anticipo, segregazione nelle classi nell’obbligo, segregazione nella secondaria non fra licei e istituti tecnici, professionali e centri di formazione professionale, ma fra licei e sostanzialmente niente, università al Nord e master all’estero. Stupisce che il mondo che si definisce progressista sia impegnato da sempre a celare o eufemizzare questa realtà, che è un’offesa permanente alla giustizia sociale.

E poi per migliorare bisogna pensare di aver bisogno di farlo. L’impressione è che il mondo della scuola del Sud, come riflesso peraltro della società del Sud, non creda realmente di averne bisogno. Che il suo mondo di valori, e pertanto anche di prestazioni scolastiche, non sia inferiore e perciò bisognoso di miglioramento, ma diverso e forse anche per certi versi superiore. Forse bisognerebbe discutere apertamente di questo invece di trascinarsi in quella che sta diventando una vicenda un po’ penosa, senza fine all’orizzonte.

In questo guazzabuglio quali potrebbero essere gli strumenti più adatti a fare dei veri passi in avanti? Spesso si insiste sull’autovalutazione, sull’inutilità se non la pericolosità di interventi esterni vissuti come intrusivi. La breve esperienza che si è potuta fare da parte dei visitatori esterni, che per pochi anni il Servizio nazionale di valutazione ha mandato in giro nelle scuole, non dice però questo. Certo, sono necessari rispettabilità professionale e rispetto umano. Ma le scuole apprezzano un rispettoso (non connivente) occhio esterno, spesso chiedevano il proseguimento dell’esperienza e rimanevano molto deluse dal capire che si trattava di un intervento molto light. Alcune hanno anche cercato di organizzarsi in rete per scambiarsi osservatori e miglioratori che usassero le procedure delle visite esterne.

Naturalmente non siamo tutti uguali: le più interessate erano le cosiddette avanguardie, quelle che tiravano la carretta ad analizzare i dati Invalsi e a presentarli in una maniera minimamente dignitosa e a produrre dei Rav decenti. Avevano e hanno bisogno di una sponda esterna – magari di un poliziotto buono/cattivo – per riuscire a migliorare qualcosa in un mondo senza incentivi come quello della scuola italiana. E di mancanza di incentivi è morto perfino il sistema sovietico…

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