Il Jobs Act continua a perdere pezzi dopo le recenti pronunce, come quelle di gennaio e febbraio, la Corte costituzionale con una nuova sentenza ha dichiarato che è illegittima la norma che vieta il reintegro del dipendente se viene licenziato per un motivo giustificato e oggettivo che poi si rivela insussistente. Sono diverse le sentenze che hanno fatto a pezzi il Jobs Act: da quella del 2018 con cui la Consulta aveva smontato le tutele crescenti a quella di due anni dopo in cui veniva censurato il meccanismo di indennizzo per vizi di forma e procedura, mentre nel 2022 veniva chiesto al legislatore di predisporre tutele adeguate ai lavoratori, poi sono state allargate le tutele per i lavoratori licenziati in altre pronunce di quest’anno.



Stavolta è stata accolta la questione di costituzionalità che aveva posto il tribunale di Ravenna, disapprovando quanto prevista della riforma introdotta dal governo Renzi per la sua sconsideratezza rispetto a quelle sui licenziamenti disciplinari, per una giusta causa o un motivo giustificato soggettivo che prevedono il diritto di ottenere nuovamente il posto di lavoro se il motivo del licenziamento si rivela immotivato.



Per i giudici della Corte costituzionale, anche se il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non è discutibile nel merito, in virtù del principio della libertà d’impresa, almeno il “fatto materiale” riscontrato dal datore di lavoro deve essere sussistente, quindi per la Consulta la norma in questione del Jobs Act causa “un difetto di sistematicità che rende irragionevole la differenziazione rispetto alla parallela ipotesi del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo“. Tale norma non è incostituzionale se il fatto materiale sussiste, d’altra parte non giustifica il licenziamento, in quanto il lavoratore potrebbe essere ricollocato in azienda; quindi se emerge la violazione del datore di lavoro dell’obbligo di vagliare tutte le occasioni di ricollocamento, allora il dipendente avrà diritto solo alla tutela risarcitoria.



LA SECONDA PRONUNCIA DELLA CONSULTA SUL JOBS ACT

C’è poi una seconda sentenza della Corte costituzionale, che in questo caso riguarda una questione sollevata dalla sezione lavoro del tribunale di Catania, che aveva disapprovato il mancato riconoscimento della tutela del reintegro nel caso in cui, a causa dell’inadempienza del lavoratore, che si rivela fondata, attraverso la contrattazione collettiva è prevista una sanzione conservativa. Per la Consulta va ammessa la tutela reintegratoria attenuata nel caso in cui sia previsto che in caso di specifiche inadempienze del dipendente, anche se rilevanti dal punto di vista disciplinare, sono passibili solo di sanzioni conservative.

Secondo la Corte costituzionale, se non si prevede il reintegro quando il fatto contestato è punito, in base a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, con una sanzione solo conservativa si incrina il ruolo della contrattazione stessa nella disciplina del rapporto. Infine, alla luce di queste due pronunce della Consulta, si delinea una simmetria tra licenziamento disciplinare e licenziamento per ragione di impresa, che viene tracciata sulla linea del “fatto materiale insussistente“.