Lavoro, scuola e trasporti: dopo il Decreto Covid che ha ampliato l’obbligo di Green Pass a diverse attività, sono quei tre macro-temi che vengono ora affrontati dal Governo in vista della ripresa a settembre, con una variante Delta sempre più in espansione. La sentenza che arriva dal Tribunale di Modena potrà a questo punto fornire ulteriore spunto di discussione nell’esecutivo circa la proposta lanciata da Confindustria di rendere obbligatorio il vaccino anti-Covid in azienda, pena sospensione e stop della retribuzione.
L’ordinanza del giudice civile Emilia Salvatore presso il tribunale di Modena si è pronunciato a seguito del ricorso presentato da due fisioterapiste di una Rsa: le lavoratrici sono state assunte da una cooperativa modenese che aveva le aveva sospese a fronte del loro rifiuto a sottoposti al vaccino. Secondo il tribunale, in poche parole, l’azienda non solo può sospendere un proprio lavoratore “no vax” ma può anche impedirgli di ricevere lo stipendio. Nella sentenza si legge, informa l’Agenzia ANSA, come il dato di lavoro debba porsi come «il garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica di lavoratori».
VACCINO IN AZIENDA, IL PUNTO DI ICHINO (GIUSLAVORISTA)
La sentenza di Modena ricorda infine una recente direttiva Ue che includeva il Covid-19 tra gli agenti biologici di cui è «obbligatoria la protezione anche negli ambienti di lavoro». Il tribunale rimarca che, seppur il rifiuto a vaccinarsi non può dar luogo a sanzioni disciplinari, esso può comunque comportare «conseguenze sul piano della valutazione oggettiva dell’idoneità alla mansione». Lavorare in spazi chiusi vicino ad altri colleghi senza vaccinarsi, spiegano i giudici, può costituire un motivo «per sospendere il lavoratore senza retribuzione». Come già spiegava al Corriere della Sera il 23 luglio scorso, il giuslavorista ex Pd Pietro Ichino conferma la sua proposta in linea con Confindustria che difendere il diritto alla salute sul luogo di lavoro: intervistato da Huffington Post per commentare il caso di Modena, l’ex parlamentare osserva «Concordo sia con quanto l’ordinanza dispone – cioè la conferma del provvedimento aziendale di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della dipendente che aveva rifiutato di vaccinarsi – sia con la motivazione, interamente fondata su due norme di carattere generale, applicabili in qualsiasi azienda: l’articolo 2087 del Codice civile e l’articolo 20 del Testo Unico sulla sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro». Quanto avvenuto a Modena, secondo Ichino, può sussistere anche a qualsiasi altra azienda: «Si può dunque parlare di un orientamento giurisprudenziale che sta consolidandosi» anche se questo non significa che sarà automatica la disposizione di obbligo vaccinale sul posto di lavoro. La parola spetta alla politica, con il Governo Draghi intenzionato quantomeno a discutere della proposta delle imprese assieme ai sindacati (del tutto scettici invece). Per Ichino dunque il Green Pass obbligatorio sul lavoro sembra la soluzione ideale, «non avrebbe alcun senso esigere il certificato di vaccinazione per l’accesso a un mezzo di trasporto, o a un ristorante, e non esigerlo per l’accesso a un luogo di lavoro chiuso, dove le persone sono per ore a stretto contatto fra di loro».