La norma, approvata in via definitiva nella seduta del 12 aprile 2023 e in procinto di essere promulgata e poi pubblicata in Gazzetta Ufficiale, mira a tutelare il diritto dei lavoratori autonomi a ricevere un compenso adeguato alla qualità della prestazione professionale, specie nei casi in cui la controparte è in una posizione dominante.
La norma si snoda su tre direttrici principali: 1) l’applicazione vincolante dell’equo compenso, anche se soggettivamente limitata con riferimento alla platea dei committenti vincolati; 2) l’estensione della tutela derivante dall’equo compenso anche alle professioni non ordinistiche (ad esempio, amministratori di condominio, tributaristi e revisori legali, geofisici, fotografi, podologi, ecc.); 3) la presunzione di vessatorietà delle clausole che si concretizzino in un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, anche (ma non solo) in ragione della non equità del compenso pattuito.
La norma precisa che deve ritenersi “equo” un compenso proporzionato non solo alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, rendendo così evidente il recepimento dei principio costituzionale di cui all’art. 36 Cost., ma anche al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale. L’equità del compenso deriva dalla sua conformità ai parametri indicati nei decreti ministeriali per la specifica categoria di riferimento. In particolare, i parametri di riferimento per gli avvocati sono rintracciabili nel c.d. “tariffario forense”, di cui al D.M. n. 50 del 10 marzo 2014, recentemente aggiornato con D.M. n. 147 del 13 agosto 2022; per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, il riferimento (un po’ anacronistico) è ai D.M. adottati ai sensi dell’art. 9 del D.L. 1/2012, convertito con modifiche dalla L. n. 27/2012; per i professionisti di cui al co. 2 dell’art. 1 L: 4/02013 il riferimento parametrale sarà contenuto nel decreto del ministro delle Imprese e del Made in Italy che dovrà essere adottato nel termine di 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge. I parametri anzidetti però possono essere bypassati, ai sensi dell’art. 6, attraverso l’adozione di modelli standard di convenzione concordati con i Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali che, proprio per la qualità degli agenti stipulanti, si presumono equi fino a prova contraria.
Per quanto riguarda il perimetro di applicazione, occorre subito chiarire che la norma in esame non si applica in maniera generalizzata. In particolare, la previsione trova applicazione per i rapporti professionali che prevedono le prestazioni di opera professionale di cui all’art. 2230 c.c. svolte anche in forma associata o societaria, in favore di imprese bancarie, di imprese assicurative, nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico abbiano occupato alle proprie dipendenze più di 50 dipendenti o abbiano conseguito ricavi annui superiori a 1 milione di euro.
Tali soglie rappresentano sicuramente un primo limite della disciplina perché appare subito evidente che la legge sull’equo compenso non sarà applicabile alle realtà più piccole, come le PMI che, nel nostro Paese, costituiscono la vera ossatura del mondo imprenditoriale. La limitazione del campo di applicazione non è un fattore trascurabile, se si considera che secondo una stima del Sole 24 Ore le aziende private coinvolte sarebbero circa 51mila; un numero risibile rispetto ai dati Inps 2021 (circa 1 milione e 647mila). La disciplina trova applicazione anche in relazione alle prestazioni rese in favore della Pa o delle società a partecipazione pubblica (D.lgs. n. 175/2016), con esclusione degli agenti della riscossione.
La parte più significativa della norma è quella riferita alla nullità delle clausole, da intendersi ex lege vessatorie, in quanto non conformi al compenso proporzionato, misurato secondo il criterio di equità innanzi detto. Sono altresì nulle le pattuizioni che vietano al professionista di ricevere acconti, quelle che impongono l’anticipazione di spese o quelle che prevedono termini di pagamento superiori ai 60 giorni dal ricevimento della fattura. Si tratta, in sostanza, di previsioni che attribuiscono al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla controparte contrattuale, in posizione asimmetrica e verosimilmente debole.
Viene poi prevista, condivisibilmente a parere di chi scrive, la nullità di una serie di clausole e pattuizioni, anche se contenute in documenti contrattuali distinti dalla convenzione o dall’incarico, che riservano al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto o gli attribuiscano la facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto o di pretendere prestazioni aggiuntive che il professionista dovrebbe eseguire a titolo gratuito.
Tuttavia, non sono previste sanzioni per le imprese che non rispettano le regole e, come noto, una norma che non collega una sanzione all’eventuale inadempimento rischia di essere inefficace. Diversamente, gli ordini professionali potranno sanzionare i professionisti che arrivino a pattuire un compenso non “equo”. La nullità delle singole clausole non comporta, però, la nullità del contratto, che rimane valido ed efficace per il resto. Peraltro, la nullità opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d’ufficio.
In ogni caso l’articolato contrattuale che preveda un compenso inferiore ai valori determinati ai sensi della legge potrà essere impugnato dal professionista innanzi al Tribunale territorialmente competente, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso. Il giudice adito procederà alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali volta per volta applicabili, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista, di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari. Tale parere costituirà elemento di prova sulle caratteristiche della prestazione, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. Il giudice potrà altresì condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista fino al doppio della differenza, fatto salvo il risarcimento dell’eventuale maggiore danno.
In disparte le ulteriori questioni squisitamente processuali funzionali a far valere il diritto di credito del professionista, che per esigenze di sintesi non è opportuno trattare in questa sede, la norma prevede che il termine di prescrizione del diritto del professionista al pagamento del compenso decorre dal momento in cui, per qualsiasi causa, cessa il rapporto con l’impresa; diversamente il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di responsabilità professionale decorre dal giorno del compimento della prestazione, così evitando l’alea sine die di un’eventuale azione di responsabilità.
Il testo prevede inoltre che i diritti individuali omogenei dei professionisti possano essere tutelati anche attraverso l’azione di classe che, ferma restando la legittimazione di ciascun professionista, potrà essere proposta dal Consiglio nazionale dell’ordine al quale sono iscritti i professionisti interessati o dalle associazioni maggiormente rappresentative.
Allo scopo infine di vigilare sull’osservanza della legge, viene istituito presso il ministero della Giustizia, l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso che avrà poteri consultivi e propositivi, oltre la facoltà di segnalare al ministro della Giustizia eventuali condotte o prassi applicative o interpretative in contrasto con le disposizioni in materia di equo compenso e di tutela dei professionisti dalle clausole vessatorie.
La tutela dei lavoratori autonomi, già in gran parte attuata con la L. 81/2017, trova con questa legge una più compiuta disciplina, con specifico riferimento agli aspetti economici. La strada per la tutela effettiva è però ancora lunga, bisogna attendere il decreto relativo ai parametri applicabili alle professioni non ordinistiche, bisognerebbe passare per l’ampliamento del campo di applicazione soggettivo dei committenti e inserire un apparato sanzionatorio con effetto dissuasivo per comportamenti non conformi al quadro regolatorio.
Si è comunque raggiunto un buon risultato e l’approvazione all’unanimità (243 favorevoli, 59 astenuti, contrari nessuno) ne è segno tangibile. Chi ben comincia è a metà dell’opera.
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