Dal 6 settembre entrerà in vigore la legge, fortemente voluta dall’esecutivo, che definisce le caratteristiche della nuova filiera “formativa tecnologico-professionale” e che introduce la sperimentazione “4+2” che consentirà di ottenere un titolo di studio spendibile nel mondo del lavoro al pari di un diploma quinquennale o, comunque, di iscriversi all’Università.
La nuova normativa stabilisce, quindi, che, a decorrere dall’anno scolastico 2024/2025 (quello che si avvia ad iniziare), questa filiera sarà costituita dai percorsi sperimentali del secondo ciclo di istruzione, dai percorsi formativi degli ITS Academy, dai percorsi di istruzione e formazione professionale (IeFp) e da quelli di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS).
Viene, infatti, prevista l’istituzione di “campus”, ossia reti che collegano l’offerta didattica, nelle sue diverse forme, degli Istituti tecnici e professionali, degli ITS Academy e dei centri di formazione professionale.
Con la finalità, quindi, di garantire qualità al percorso d’istruzione degli studenti, è prevista una maggiore interazione con il mondo del lavoro e la presenza di esperti provenienti dalle imprese per coprire competenze che, solitamente, non sono presenti tra i docenti “ordinari” delle scuole.
L’obiettivo del Ministero è, insomma, di costruire, con la nuova filiera tecnico-professionale, un canale di istruzione di “serie A”, in grado di dare una solida formazione ai nostri ragazzi, secondo programmi fortemente innovativi, che assicureranno competenze teoriche e pratiche di qualità, anche grazie al contributo delle imprese e, magari, immediatamente spendibili nel mercato del lavoro.
Uno strumento che dovrebbe consentire, quindi, al sistema produttivo di avere quelle professionalità, più o meno “nuove” e 2.0, necessarie per continuare ad essere competitivo nelle dinamiche globali dei nostri tempi. Ad oggi, come ahimè noto, la metà delle aziende italiane fa fatica a coprire le posizioni potenzialmente disponibili.
I critici del sistema ritengono, tuttavia, che la scuola non sia solo lo strumento per imparare a “leggere, scrivere e far di conto”, ma un luogo fondamentale per la costruzione dell’eguaglianza sociale, senza necessariamente allinearsi ai meccanismi competitivi del mercato. Ritiene, chi si oppone alla riforma, che lo Stato debba avere un ruolo centrale nell’istruzione, attraverso un modello che è garanzia di laicità, gratuità e pluralismo e che un livello qualitativo “alto” dell’istruzione rappresenti uno dei principali fattori di crescita economica e sociale di qualsiasi paese.
La sfida di saper tenere assieme le esigenze del tessuto produttivo, del “pieno sviluppo della persona umana” e del ruolo di ascensore sociale rappresentato dalla scuola sarà, certamente, presente a chi, nei prossimi mesi, sarà chiamato a implementare, concretamente, una legge a partire, come sempre, dai docenti e le famiglie.
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