La digitalizzazione dell’economia e l’introduzione dell’Intelligenza artificiale (AI) nelle attività lavorative stanno cambiando già ora molte professioni. Solo pochi anni fa è stata fatta la previsione che i nuovi nati non avrebbero probabilmente svolto un lavoro che non esisteva alla loro nascita. Ma già oggi molti lavoratori devono frequentare corsi di formazione per apprendere nuove professionalità perché la loro professione semplicemente sarà svolta da programmi intelligenti e dovranno quindi apprendere un lavoro nuovo, non solo cambiare il modo di lavorare, per mantenere l’occupabilità necessaria nella trasformazione in corso.
Una ricerca realizzata da Randstad e Fondazione per la sussidiarietà, presentata al Meeting di Rimini, ha messo in luce i cambiamenti che sono già oggi rilevabili dalla analisi degli annunci di lavoro delle imprese. Sono richieste in primo luogo competenze digitali e capacità tecniche avanzate.
La domanda di formazione Stem (scientifico, tecnica, economica e matematica) cresce con il diffondersi di applicazioni digitali e dell’AI. Ma queste competenze sono richieste anche in abbinamento a percorsi formativi di tipo umanistico. Ciò impone che i processi di formazione continua siano potenziati e che la certificazione delle competenze diventi un sistema più efficiente di quanto avviene ora.
La novità è che l’applicazione delle nuove tecnologie chiede un’implementazione delle soft skills, o non cognitive skill. La capacità di sviluppare idee creative, pensare analiticamente e in modo proattivo, adattarsi ai cambiamenti, sviluppare la responsabilità personale e condividere la responsabilità sociale dell’impresa sono nuove attitudini che emergono dalle richieste di skill fatte dalle imprese. Dalle analisi della ricerca emerge che interessano il 50% delle professioni di alto e medio livello e per circa il 30% le attività artigiane e di operai specializzati, mentre arrivano a circa il 60% per le professioni non qualificate. Sono questi dati che ci indicano come digitalizzazione e applicazioni AI cambiano tutti i lavori, sia quelli a maggiore contenuto intellettuale che quelli a contenuto manuale.
L’impatto è infatti quello di sostituire alcuni processi produttivi e alcuni lavori. In alcuni casi di lavori manuali saranno macchine intelligenti a togliere la fatica di oggi, ma chiederanno una supervisione umana e una manutenzione che portano a professionalità diverse per chi dovrà occuparsi di quei servizi. In molte attività più intellettuali, il cambiamento sarà invece quello di integrare i processi produttivi e decisionali. In questo caso servirà un’intelligenza capace di identificare, valutare e valorizzare il contributo che l’AI fornisce al raggiungimento del risultato.
Emerge qui l’esigenza di persone capaci di creatività, pensiero critico, intelligenza emotiva e capacità relazionale, tutte competenze umane non facilmente replicabili dall’AI.
Le applicazioni tecnologiche possibili possono inoltre nascondere nuove forme di controllo del lavoro che riportano in auge gli addetti a tempi e ritmi degli anni del cottimo. L’organizzazione del lavoro sulla base di piattaforme che usano algoritmi portano a situazioni di sfruttamento. E il lavoro organizzato da algoritmi non condivisi non è solo quello dei rider. Si determinano così nuove situazioni in cui l’organizzazione del lavoro va a scapito della salute e della tutela del lavoratore.
Il monito per un umanesimo dell’AI deriva esattamente dalla necessità che il controllo delle applicazioni e degli sviluppi sia assicurato in modo trasparente e partecipato. Il loro utilizzo dovrà sempre rispondere al rispetto della privacy e tutelare le persone. Assistiamo già oggi in Paesi non democratici a usi invasivi di programmi di AI per limitare le libertà individuali.
Proprio per poter avere uno sguardo attento su quanto digitalizzazione e applicazioni AI avranno sul lavoro e permettere agli Stati e alle rappresentanze del lavoro di intervenire con conoscenza degli accadimenti l’Organizzazione internazionale del lavoro ha dato vita a un “Osservatorio sull’intelligenza artificiale e il lavoro nell’economia digitale”. In linea con le analisi che mostrano i vantaggi e i rischi connessi agli sviluppi in corso, l’Osservatorio raccoglierà dati, studi e analisi su quattro aree prioritarie:
– l’intelligenza artificiale e l’analisi delle sue implicazioni sulla occupazione e sulla produttività;
– l’utilizzo degli algoritmi e dei dati per l’organizzazione e gestione del lavoro e per la supervisione della forza lavoro;
– la crescita esponenziale delle piattaforme digitali come nuova forma dell’erogazione di prestazioni lavorative. Il lavoro su piattaforma sarà oggetto di discussione in vista della possibile adozione di norme internazionali del lavoro dalla Conferenza internazionale del lavoro 2025/26;
– la raccolta e la gestione dei dati personali dei lavoratori e delle lavoratrici da parte dei datori di lavoro.
Il tema delle implicazioni dell’AI sul lavoro era stato al centro del G7 lavoro che si è tenuto a Cagliari pochi giorni fa. Anche alla conclusione di quell’incontro si era ribadita la necessità di interventi per assicurare che le applicazioni dell’AI siano una forza positiva messa al sevizio dell’uomo e per migliorare la qualità lavoro di tutti. L’Osservatorio creato dall’Ilo può essere un primo strumento al servizio degli attori del lavoro per governare il cambiamento rendendolo utile a migliorare le tutele del lavoro.
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